Il più rosso della Roja: la battaglia di Carlos Caszely (parte 1)

Ciao a tutti!
Dopo essermi brevemente presentato, eccomi di nuovo qui, pronto e carico, e soprattutto con una storia da raccontarvi. Una storia che davvero merita di essere raccontata.
Ricordate quando vi ho parlato del calcio non come di un gioco in cui 22 persone corrono dietro a una palla per spingerla in porta, ma come un fenomeno sociale? Ecco, è proprio a questo che mi voglio riallacciare: proprio perché fenomeno di massa, il calcio può essere, e viene spesso utilizzato, come veicolo di propaganda da un personaggio politico (vi siete mai chiesti perché Berlusconi, nonostante i tanti impegni come uomo politico, non ha mai mollato il Milan? O di come, per una curiosa coincidenza, i grandi campioni approdino in maglia rossonera proprio nella finestra di mercato immediatamente precedente a una campagna elettorale?), e i suoi attori principali, i calciatori, come figure di riferimento per i tifosi. Tifosi che sono una fetta molto grossa della popolazione, a volte un'intera nazione da guidare sapientemente in una direzione o nell'altra.

Doveva averlo capito anche Salvador Allende, il leader socialista di Unidad Popolar, coalizione di centrosinistra, presidente eletto del Cile dal 1970, che si apprestava alle elezioni parlamentari del 1973. Allende, prendendo in mano la situazione, decise di volare a Buenos Aires, dove la squadra più amata dei suoi potenziali elettori, il Colo Colo, preparava la finale di Copa Libertadores, analogo sudamericano della nostra Champions League, in programma in Argentina contro l'Independiente.
Ovviamente il viaggio non era nascosto, ma debitamente documentato con varie fotografie: ne spicca una in cui il presidente è abbracciato a un calciatore che, a vederlo oggi, non sembrerebbe neanche un atleta: solo 170 cm di altezza, fisico che mostra anche qualche rotondità, i folti capelli ricci e i baffoni alla sergente Garcia. Lui è Carlos Caszely: per noi europei solo uno dei migliori calciatori cileni di sempre, per i tifosi andini "El rey del metro cuadrado", perché se riceveva palla nell'area di rigore non c'era scampo per nessuno. Per i cileni più anziani un eroe, e vedremo perché.
Ma torniamo in Cile, nel 1973, ad Allende nel ritiro del Colo Colo e alle elezioni ormai imminenti: il risultato di quelle consulte? Unidad Popolar, il partito di Allende, per il quale votava apertamente il beniamino dei calciofili cileni, alla maggioranza con un netto 43% delle preferenze. Tutto finito? Macché...
L'11 Settembre (che data, pare quasi che essa flirti con la storia, in modo da non passare inosservata) 1973 l'esercito, guidato da Augusto Pinochet, forte anche dell'appoggio morale (forse anche diretto, anche se prove che ne diano una conferma non ce ne sono) degli Stati Uniti d'America e del loro segretario di stato, il premio Nobel per la pace Henry Kissinger, prese d'assalto La Moneda, la sede del governo cileno. Il golpe riuscì: Allende uscì dai giochi (morì, probabilmente suicida, con elmetto e mitragliatrice nella mano, nel tentativo di difendere fino al'ultimo il Cile che sognava e per il quale lavorava) e a capo del Paese salì la junta milita guidata proprio dal generale Pinochet.
È proprio in questo momento che entra prepotentemente il calcio nella nostra storia: mancano infatti nove mesi alla Coppa del Mondo da disputarsi in Germania Ovest, dove sedici squadre si sarebbero sfidate per vincere il titolo di campione del mondo. Il sedicesimo biglietto per la Germania era destinato alla vincente di uno spareggio, che vedeva di fronte proprio il Cile e (coincidenza delle coincidenze!) l'Unione Sovietica!
La partita di andata si giocò il 26 settembre, quindi giorni dopo il golpe: mentre il Cile piombava in una spirale di piombo e terrore; mentre le grida, il sangue e la morte di tanti simpatizzanti di Unidad Popolar, uomini e donne, senza distinzione, fra i quali numerosi studenti, operai, artisti come Victor Jara (qualcuno parla anche di Pablo Neruda, morto il 23 settembre ufficialmente per un tumore alla prostata) si alzavano dall'Estadio Nacional, diventato in tutto e per tutto un campo di prigionia, i suoi calciatori andarono a Mosca a giocarsi un posto per i Mondiali 1974. Il risultato fu 0-0, tutto ancora in gioco nella partita di ritorno, da giocarsi a Santiago, proprio all'Estadio Nacional, opportunamente ripulito in vista di un'ispezione della FIFA che testimoniò che il campo era praticabile, la partita poteva disputarsi. Sapevano i commissari FIFA che bastava fare un giro nei sotterranei per trovare militari che puntavano i mitra contro centinaia, forse migliaia di prigionieri, affinché facessero silenzio e non rivelassero la loro presenza? Forse sì, ma si decise di chiudere un occhio, di far finta che fosse tutto in regola.
In uno slancio di umanità ed empatia (che chissà dov'erano nel 1968, quando questi sentimenti non impedirono ai tanka sovietici di sopprimere nel sangue la protesta degli studenti di Praga...) i calciatori e i dirigenti sovietici decisero che, per motivi morali, non avrebbero giocato lì, nello stadio dove tanti compagni cileni venivano torturati e uccisi. Pinochet però non era soddisfatto del 2-0 a tavolino e della qualificazione ai Mondiali. Voleva umiliare i sovietici, dimostrare che era più forte di loro. Più forte dell'intero mondo per il sangue che quotidianamente versava...
Perciò la partita, quel 21 novembre 1973, si sarebbe giocata, anche senza avversari. In uno stadio pieno di giornalisti, rappresentanti della junta e di militari a bordocampo, la nazionale cilena scese in campo per quella raccapricciante sceneggiata voluta dal generale. La Roja, così come viene chiamata la nazionale cilena, avrebbe giocato, e avrebbe fatto un gol simbolico a tutti i suoi oppositori, dopo che il pallone fosse transitato fra i piedi di tutti i calciatori in campo. Solo uno di quegli undici aveva il carisma tale da fare un gesto forte, quello di spedire il pallone fuori, di rifiutarsi alla messinscena montata in quel pomeriggio di vergogna. Sempre lui, Carlos Caszely, il più "rosso" della Roja. Solo che né lui, né il compagno (non solo di squadra, ma anche di idee) Chamaco Valdes, il capitano della squadra, designato per realizzare il gol della vergogna, ebbero il coraggio di ribellarsi, con tanti soldati armati a bordocampo. 
Gol. E vergogna. Un'infamia difficile da lavarsi via. Un tradimento ai tanti martiri cileni che faceva male fisicamente, oltre che nell'animo: Valdes arrivò a vomitare negli spogliatoi per il malessere che aveva accumulato. Caszely lo guardava, sconfitto e amareggiato quanto lui: avevano perso tutti in quello spogliatoio,
Ma, Carlos se lo ripromise, quella sarebbe stata l'ultima volta.
Continua...

IMMAGINI E VIDEO:
http://footballjourney1.blogspot.it/
https://www.youtube.com/watch?v=KvMi0cXaZDI

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