Aranycsapat: il capolavoro incompiuto di Gusztàv Sebes

A volte mi sono chiesto se esistono parametri oggettivi per definire il bello: e finisco sempre col ricordarmi della scena della prima lezione del prof. Keating (alias Robin Williams) ne "L'attimo fuggente", quando invita i suoi alunni a stracciare e gettare via la prefazione al libro di testo di letteratura, la famigerata "Come comprendere la poesia- di Jonathan Evans Prichard, professore emerito" definendola escrementi (i doppiaggi italiani mi sono sempre piaciuti tantissimo, ma mai come in questo caso avrei voluto una resa migliore dell'originale inglese shit).



Ma almeno un qualcosa che possa definire almeno vagamente un capolavoro esiste? Qualcuno potrebbe rispondere a questa domanda affermativamente: sì, forse qualcosa che accomuna tutte le cose ben fatte c'è: la perfezione.
Bel concetto questo, la perfezione: di certo è un qualcosa che tutti noi ricerchiamo, in tutto quello che facciamo, con esiti piuttosto scarsi, visto che ci sfugge spesso. Un requisito minimo per la perfezione lo possiamo però individuare con facilità: la completezza, e su questo siamo presumibilmente tutti d'accordo. Purtroppo però questo non ci aiuta col problema iniziale: quello dei canoni della bellezza assoluta. Infatti, stabilire che ciò che è completo (quindi abbastanza vicino, nel suo piccolo, al concetto di perfezione) è per forza di cose bello è una equazione che non sempre è valida, né in un senso né nell'altro: ci sono tantissime cose che sono per l'appunto complete, ultimate, finite, ma che sono sostanzialmente brutte (avrei tantissimi esempi da fare, quindi non ne faccio nessuno altrimenti non la finirei più); viceversa esistono opere che non hanno i requisiti di cui sopra, ma possono considerarsi bellissime. Ve ne lascio qui un esempio, la sinfonia n. 8, in Si minore di Schubert, nota in tutto il mondo come l'Incompiuta.


Venendo al piano calcistico, che è quello che maggiormente ci interessa (ed è anche quello in cui posso parlare con una percentuale di far figuracce certamente ridotta rispetto alla musica classica), anche qui vale la regola precedentemente enunciata, ovvero:
                                  Perfetto, completo ≠ Bello
Volete degli esempi? Uno è molto vicino a noi, sia nel tempo che nello spazio, ovvero la Juventus degli ultimi anni: magari non gioca bene, fa divertire poco, non appare insuperabile dal punto di vista della velocità e della spettacolarità, anzi in questi ultimi anni abbiamo visto spesso Milan, Roma e Napoli esprimere un gioco migliore, più gradevole allo spettatore rispetto a quello proposto dai bianconeri, ma sta di fatto che da tre anni a questa parte, a maggio, a fregiarsi del titolo di Campioni d'Italia sono sempre loro.
Viceversa, il calcio è pieno di bellissime, fantastiche incompiute, sinfonie dove a deliziare non sono arpeggi di violini e musicisti, ma gesti tecnici di piedi letteralmente fatati e calciatori.
La più bella di queste sinfonie si chiama Aranycsapat, termine magiaro che vuol dire la squadra d'oro, e il direttore d'orchestra, che li guiderà fino alla loro ultima, incompiuta esibizione, è Gusztàv Sebes.


Sebes è uno di quei personaggi che nascono una volta ogni 20 anni (se non di più), un rivoluzionario del rettangolo verde: è stato un calciatore a cavallo degli anni 1918-1940, i primi anni di gloria della nazionale ungherese, che in quegli anni praticava forse il miglior calcio del mondo (inglesi esclusi, dei quali ahinoi non abbiamo molte testimonianze, dato che non giocano contro nessuno per manifesta superiorità). Solo che la squadra magiara non riesce mai a trionfare: nel 1924, al torneo olimpico di Parigi, la squadra è forte: ci sono i fratelli Fogl, Bela Guttmann (futuro allenatore del Benfica che vincerà per due anni consecutivi la Coppa dei Campioni), Hajos, Hirzer e Weisz (giocheranno tutti in Italia, e Weisz allenerà il Bologna, lo squadrone che tremare il mondo fa) ma si ammutina contro i propri dirigenti e si farà eliminare agli ottavi dall'Egitto; mentre nel decennio successivo gli ungheresi andranno sempre vicini alla conquista della Coppa Internazionale (antesignana dell'attuale Campionato europeo di calcio) e della Coppa del mondo, ma per quanto la nazionale sia sempre imbottita di campioni (citiamo ad esempio Turay, Zsengellér e Gyorgy Sàrosi), nei momenti topici sbatte sempre contro gli avversari di sempre, che faranno man bassa di trofei in quegli anni, l'Austria e l'Italia. Sebes, uomo di grande intelligenza, oltre che di sterminata conoscenza calcistica, sa che non i campioni (ad esempio Sindelar per gli austriaci e Meazza per gli italiani), ma soprattutto i commissari tecnici, rispettivamente Meisl e Pozzo, hanno fatto la differenza con l'organizzazione tattica che son riusciti a dare alle loro squadre, e hanno reso l'Ungheria di quegli anni un'eterna incompiuta. E saranno proprio loro due, le loro tattiche, i loro segreti, l'oggetto costante del suo studio, il modello a cui ispirarsi.
Mancava solo la grande occasione per mettere in pratica tutto questo studio: egli la ebbe finalmente nel 1949 quando, con la nomina a Ministro dello sport, ebbe contestualmente anche la panchina della Nazionale ungherese, come era solito che avvenisse nei paesi di stampo comunista.
L'occasione è d'oro: Sebes non solo ha una squadra a cui insegnare le sue idee tattiche perché fossero messe in pratica sul terreno di gioco, ma aveva a disposizione la più grande generazione di talenti della storia del calcio ungherese, e la qualità è fondamentale per vincere, come tutti sappiamo. Fra i tanti campionissimi ha come centravanti Ferenc Deak: una macchina da guerra in grado di realizzare in sole 34 partite di campionato ben 66 gol. Solo che non va tutto liscio, e Sebes deve subito privarsi del suo bombardiere: il regime non può permettere di farsi rappresentare, in campo sportivo, da un uomo così sovversivo, così dichiaratamente anticomunista (in quegli anni di guerra fredda e di cortina di ferro calcio e politica erano legati molto più di quanto non avvenga oggi: ricordate la storia di Caszely?). Un bel problema per Sebes, che deve reinventarsi dal nulla una squadra, e Helsinki e l'annesso Torneo olimpico si fanno sempre più vicini: ma è proprio qui che interviene il colpo di genio...
Sebes si rende conto di avere a disposizione due armi letali nel ruolo di mezzali, che devono essere messe in condizione di rendere al massimo: fatto questo, di Deak e dei suoi gol si può fare davvero a meno, perché ci avrebbero pensato loro. Il mister ci prova prima con Palotas che, per quanto sia un gran bel giocatore, non soddisfa il vecchio Gusztàv, che ha in testa un solo uomo: gioca nel Voros Lobogo (ex MTK) nel ruolo di ala, ma in nazionale sembra quasi che smarrisca il suo talento; il suo nome è Nandor Hidegkuti.
Questa parte della storia facciamocela raccontare proprio dal c.t.:
"Di lui sapevo già che era un buon giocatore. Più volte lo avevo provato in Nazionale, ma senza ottenere i risultati che speravo. Hidegkuti giocava magnificamente nel Voros Lobogo, ma in Nazionale ogni sua prestazione era nervosa, imprecisa. Non avevo dubbi che fosse un grande giocatore, ma non riuscivo a farlo giocare come volevo, ma d'altra parte inutilmente cercavo di trovare un uomo che potesse darmi lo stesso apporto potenziale. Qualche mese prima dei Giochi erano in programma due partite a Varsavia e a Helsinki contro Polonia e Finlandia: non potendo accompagnare la squadra a Varsavia affidai la panchina a Gyula Mandi, istruendolo con precise indicazioni sul ritiro e sulla formazione, nella quale avevo inserito Palotas titolare. Prima che partisse però gli consegnai una busta, avvertendolo che doveva aprirla solo negli spogliatoi, davanti alla squadra, prima della partita. Mandi credeva ci fossero parole di incoraggiamento per la squadra, per cui rimase sorpreso quando lesse le parole che v'erano scritte sul biglietto: centravanti, al posto di Palotas, deve esserci Hidegkuti. Per cui Hidegkuti venne richiamato in fretta e furia dalla tribuna, perché doveva cambiarsi per essere in campo. Morale: Hidegkuti giocò in tutta tranquillità, fece una magnifica partita, segnò anche un gol e l'Ungheria vinse 5-1. Proprio la consapevolezza originaria di non dover giocare aveva permesso a Hidegkuti di vivere la vigilia in tutta calma, senza ansia, e una volta chiamato in causa di trovarsi perfettamente riposato e in forma fisica e mentale smagliante. Finalmente avevo trovato il centravanti che desideravo da anni per la Nazionale".
Sì, perché proprio Hidegkuti era la chiave che permise di tramutare in realtà ciò che aveva in mente Sebes dal lontano 1949, quando prese in mano la Nazionale: un modulo di gioco rivoluzionario, che partiva dal Metodo WW di Pozzo e dal Sistema WM di Meisl e di Egri Erpstein nel suo Grande Torino, ma che travalicava questi due stili, rendendoli d'un tratto obsoleti: e il cuore di questo cambiamento era proprio Hidegkuti. Sebes schierava questa squadra: in porta col numero 1 Grosics
Il Sistema WM di Meisl

un vero fuoriclasse del ruolo; come terzini giocavano Buzanszky Lantos, al centro stazionava Lorant. I tre erano forse gli elementi tecnicamente meno dotati: ciò nonostante erano atleticamente insuperabili, un trio davvero solido a difendere la porta. Più avanzati i due mediani: con il numero 6 Zakarias, un altro dai piedi non eccelsi se paragonati ai suoi compagni, ma che ha gambe e fiato come nessuno, davvero un motorino inesauribile e prezioso per la squadra; affianco a lui Bozsik, un calciatore davvero straordinario: praticamente Xavi 50 anni prima del tiki-taka, cervello di prim'ordine e classe sopraffina nei piedi al servizio della squadra, l'uomo al quale arrivano tutti i palloni recuperati dei quattro compagni già citati, perché possa trasformarli in oro con la sua visione di gioco da playmaker e i suoi lanci millimetrici, qualità per le quali è ancora oggi considerato il miglior mediano di sempre. Sulle fasce due ali superbe, che Sebes posiziona leggermente più dietro rispetto a quanto non facesse Meisl: Budai sulla destra, uno che ama anche accentrarsi e creare superiorità al centro, con una gran visione di gioco utile in fase di costruzione della manovra, l'altra ala è Czibor, ovvero Garrincha nato sulle rive del Danubio: velocissimo palla al piede, dotato di un dribbling ubriacante che gli permette di saltare gli avversari come birilli, e di un piede raffinato dal quale poteva partire un cross velenosissimo, o un ancor più insidioso tiro in porta. Col numero 9, col ruolo di centravanti, il già citato Hidegkuti, la chiave tattica dello scacchiere di Sebes.
Il modulo MM dell'Aranycsapat: si nota l'ar-
retramento di posizione dei numeri 7,11 e
soprattutto 9 (Hidegkuti) per favorire i nu-
meri 8 e 10.
Che non dovremo chiamare più WMbensì MM: è proprio la posizione di Hidegkuti a segnare questo passaggio: Nandor infatti gioca molti metri più indietro rispetto a quanto non facesse il forward sistemista, divenendo così non un centravanti di sfondamento, bensì un centravanti di manovra: in soldoni, il moderno trequartista. Hidegkuti in pratica si abbassa fino a centrocampo a prendere palla, trascinandosi dietro il suo marcatore: con questo suo movimento non solo entra nel vivo del gioco, dove può scaricare facilmente a un compagno (principalmente Budai o Czibor, le ali che giocano sulla sua linea), ma regala campo aperto agli inserimenti delle due mezzali, le vere armi letali dell'Ungheria. Per la verità, Hidegkuti era anche un centravanti dal notevole fiuto del gol, come dimostrano i 39 gol nelle 68 partite giocate coi magiari, ma sono decisamente briciole che cadono dalla mensa di quei due.
Parliamo allora di quei due: il primo, col numero 8 sulle spalle, era smilzo e, pur non essendo un gigante visti i suoi normalissimi 177 cm, aveva un'arma formidabile: uno stacco perentorio con il quale batteva sul tempo ogni difensore, e grazie al quale giungeva in perfetto orario, né in anticipo né in ritardo, all'appuntamento con il pallone per impattarlo con precisione di testa e spedirlo in porta: era talmente bravo nel far ciò che dei suoi 75 gol in 68 presenze con la Nazionale magiara il 90 % sono arrivati con un colpo di testa. L'altro invece era il suo opposto contrario, e per questo i due erano insieme la più mortifera ed efficace delle coppie gol possibili: di lui, il numero 10 magiaro, disse Billy Wright, difensore centrale fra i più bravi della sua epoca, e capitano della Nazionale inglese che stava per sfidare gli ungheresi a Wembley, il 25 novembre 1953: "Lo vedi quel tipo basso e ciccione? Lo faremo a pezzi, insieme ai suoi compagni".
Vi ho detto tutto di quei due, tranne il loro nome: Sandor Kocsis e il capitano della squadra, ma colonnello dell'esercito magiaro Ferenc Puskas, ovvero mister 1156 gol in carriera (meglio di lui solo Pele) dei quali 84 furono realizzati in 85 presenze in Nazionale, senza ombra di dubbio il più grande tiratore della storia del calcio (uno che, ci dice Luis Suarez, una volta in allenamento prese a tirare da fuori area mirando i pali, colpendoli 18 volte su 20). In questo modo Sebes aveva dato vita al suo genio calcistico; l'Aranycsapat, la squadra che giocava il calcio più bello della storia, era finalmente nata, pronta per stupire il mondo: e se molto di ciò che di straordinario fece questa squadra era merito del suo artefice, molto altro era tutto merito dell'eccelsa qualità tecnica dei suoi interpreti, che erano capaci di disimpegnarsi in più posizioni mantenendo lo stesso grado altissimo di efficienza; l'Aranycsapat e il suo gioco (il calcio socialista come lo chiamava Sebes, non di certo estraneo a un filo di retorica pro-regime, anche negli spogliatoi) erano un assaggio di ciò che proporranno vent'anni dopo il maestro Michels e un'altra grandissima incompiuta del calcio: l'Arancia Meccanica, l'Olanda degli anni '70.

L'Aranycsapat di Gusztàv Sebes. In piedi da sinistra verso destra: Lorant, Bu-
zanszky, Hidegkuti, Kocsis, Zakarias, Czibor, Bozsik, Budai; accosciati da si-
nistra verso destra: Lantos, Puskas, Grosics.
Quella dell'Aranycsapat è un'avventura che ha dell'incredibile: una serie di esibizioni in cui sembra che il calcio abbia raggiunto il suo apice, e niente di meglio possa mai più essere espresso: dal 5-2 inflitto alla Polonia il 4 giugno 1950  inizia una lunghissima serie positiva, forse irripetibile, che durerà la bellezza di quattro anni. In questo periodo di tempo ci sono state 32 esibizioni dell'Aranycsapat, nelle quali il segno X è uscito solo 3 volte, poi tutte vittorie ungheresi. E fra queste ci sono state esibizioni di altissimo rilievo, a cominciare dalle cinque partite, tutte vinte, giocate ad Helsinki fra luglio e agosto 1952, che valsero a Puskas e compagni la medaglia d'oro ai Giochi olimpici. Proprio questo alloro stuzzicò la Nazionale dei Tre Leoni, l'Inghilterra, imbattuta in casa da ben 90 anni contro squadre dell'Europa continentale, a sfidare i campioni olimpici che si vociferava fossero più forti dei maestri del calcio. Non era la prima volta che la squadra inglese organizzava partite del genere, anzi spesso l'Inghilterra sfidava ufficialmente i campioni olimpici o mondiali in carica nel proprio tempio, lo Stadio Wembley di Londra: solo che forse per la prima volta gli inglesi temono per davvero l'avversario, tanto da organizzare la partita il 25 novembre 1953, in un clima ideale per gli inglesi, che erano abituati ai campi appesantiti dalle abbondanti piogge autunnali che invece penalizzano i calciatori tecnici come gli ungheresi. Ma Hidegkuti è tranquillo, tanto da dire ai suoi difensori: "Non preoccupatevi: se prendiamo un gol, gliene facciamo due".
E qui ritorniamo dove avevamo lasciato Billy Wright a descrivere Puskas: al capitano inglese, stanti le rigide marcature ad uomo del sistema (il 2 marca l'11, il 5 il 9, il 3 il 7, il 6 l'8 e, appunto, il 4 marca il 10) tocca proprio il colonnello. La sua classe e i suoi inserimenti fanno letteralmente ammattire Wright e compagni (fra i quali ci sono anche Ramsey, Mortensen e Matthews, non proprio pizza e fichi insomma) che subiscono la prima sconfitta casalinga della storia per mano di una "continentale". Non una sconfitta normale, ma un 6-3 che non solo traumatizza calciatori e tifosi (in più di 100000 accorsero a Wembley quel pomeriggio), ma che sa di lezione di calcio impartita dagli ungheresi ai maestri inglesi. La partita è di quelle storiche, tanto che ancora adesso a Budapest c'è un bar, o borozó come lo chiamano loro, che si chiama proprio 6-3.


Evidentemente ciò non bastò però a Stanley Rous, che chiese la rivincita al collega e amico Sebes: questa volta si gioca al Népstadion di Budapest (che adesso si chiama Ferenc Puskas Stadion), e la partita si risolve nella peggior sconfitta inglese di sempre: a infierire sugli albionici furono per ben due volte Puskas e Kocsis, poi Lantos, Hidegkuti e Toth, per il 7-1 finale.
Tutte premesse eccezionali per la Coppa del mondo 1954 da tenersi in Svizzera (la prima trasmessa in tutto il mondo in diretta TV), alla quale l'Aranycsapat si presenta da ovvia favorita. Ma è proprio sul più bello, all'appuntamento più atteso per portare questi campioni straordinari alla definitiva consacrazione sugli altari della gloria, che l'Ungheria si dimostrerà, ancora una volta, una bellissima incompiuta.
Per superare il girone eliminatorio, ai magiari basta seppellire sotto una valanga di gol la Corea del Sud (9-0) e la Germania Ovest, squadra di certo più forte degli asiatici, con un campione come Fritz Walter dalla sua, ma che soccombe comunque sotto la qualità superiore degli uomini di Sebes: 8-3.
Non tutto è rose e fiori però: i tedeschi sono duri a morire, anche davanti all'evidenza della sconfitta, e continuano a picchiare come fabbri, e alla fine Liebrich riesce a distruggere la caviglia di Puskas. 
Senza Puskas, l'Ungheria riesce comunque ad uscirne vittoriosa dalla battaglia di Berna regolando il Brasile con un secco 4-2, Ma la partita segnerà comunque gli ungheresi: al termine infatti si scatenerà una tremenda caccia all'uomo da parte dei brasiliani contro Kocsis, mentre negli spogliatoi, dopo un diverbio acceso fra Puskas e il c.t. verdeoro, il difensore verdeoro Pinheiro salta letteralmente addosso alla stella magiara per pestarlo, che tuttavia essendo un colonnello dell'esercito sa bene come difendersi, frantumando sulla testa del malcapitato avversario una bottiglia. La rissa continuerà furibonda ancora per parecchio tempo, e fiaccherà parecchio nel fisico i calciatori magiari.

Una fase della rissa che coinvolse ungheresi e brasiliani: anche 
a causa di questi episodi, la partita passò alla storia come la Bat-
taglia di Berna.

Si va comunque alle semifinali: ad affrontare gli ungheresi i campioni in carica dell'Uruguay, in quella che è la partita più bella del torneo per i numerosi spunti tattici che offrirà. Il dispendio fisico anche qui è altissimo: l'Ungheria dopo il 2-0 iniziale si fa rimontare, trascinando la partita ai supplementari, dove un monumentale Kocsis segna i suoi gol numero 10 e numero 11 della rassegna, portando in finale i suoi. Ad attenderli la Germania Ovest, che è meno forte degli ungheresi e forse anche di uruguagi e brasiliani, ma che è coriacea abbastanza per affrontare tutti a viso aperto. In più, i tedeschi dopo il girone hanno avuto vita facile contro Jugoslavia e Austria, mentre l'Ungheria ha dovuto affrontare come visto due vere battaglie, ed è allo stremo delle forze.
La finale si gioca a Berna, il 4 luglio, e in campo c'è anche Puskas, che non è al meglio ma vuole esserci e Sebes, dopo mille ripensamenti (lui stesso racconta di come il parere di Kocsis fosse stato determinante nella sua scelta finale) decide di dargli fiducia. Fiducia che, al 6' di gioco, Puskas ripaga a modo suo: 0-1. Due minuti dopo c'è il raddoppio, con Czibor. Altri due minuti e Morlock accorcia le distanze per i tedeschi, 1-2.
La sinfonia dell'Aranycsapat si interrompe bruscamente qui, nella sua incompiutezza: la freschezza fisica e la prestanza atletica dei tedeschi prevalgono alla lunga, mentre gli ungheresi non si reggono più in piedi dopo le durissime partite contro i sudamericani, e che per di più giocano praticamente in 10: la caviglia di Puskas torna a fare le bizze, e il capitano praticamente scompare dal campo, riuscendo a stento a stare in piedi (ricordiamo che solo dal Mondiale del 1970 le squadre potranno effettuare delle sostituzioni). Neanche la netta superiorità tecnica può molto quel pomeriggio, contro un Turek letteralmente prodigioso contro gli attacchi magiari che cercano di portarsi nuovamente in vantaggio, dopo che al 18' Rahn aveva siglato il due pari (gol nettamente irregolare tra l'altro, perché favorito dalla netta carica del tedesco Eckel su Grosics uscito in presa alta). Anzi, dopo tre legni magiari e un salvataggio sulla linea di Kohlmeyer, è ancora Rahn all'84' a far partire dal suo sinistro una rasoiata imprendibile per Grosics: 3-2. C'è solo il tempo per annullare il gol del 3-3 a Puskas per un fuorigioco molto dubbio, ma il verdetto è chiaro da parecchi minuti: Germania campione del mondo e Ungheria che resterà solo Aranycsapat, la squadra più bella e incompiuta della storia del calcio.

Puskas va a stringere la mano a Fritz Walter,
capitano della Nazionale tedesca campione del
mondo 1954.

L'Aranycsapat infatti fini lì, magnificamente e beffardamente incompiuta: non ci fu mai occasione di rivincita per quei campioni, sconfitti più dalla fatica e dalla sensazione che un ciclo stesse volgendo al termine, che dai colpi dei tedeschi (su cui caddero sospetti più che fondati che, oltre che al loro atletismo, fossero dovuti ricorrere al doping per avere la meglio sui magiari).
Non bisogna infatti dimenticare che ci troviamo sempre nell'Ungheria degli anni '50, la prima repubblica socialista a ribellarsi all'URSS, in quei giorni che vanno dal 23 ottobre all'11 novembre 1956, quando da una manifestazione studentesca nacque una enorme rivoluzione di tutto il popolo ungherese contro Matyas Rakosi, il dittatore magiaro che faceva le veci dei sovietici sulle rive del Danubio.
         
           

Non ho la pretesa di raccontarvi la storia di quello che è uno degli atti più infami compiuti dall'URSS (che disgustò perfino moltissimi simpatizzanti del bolscevichismo nei paesi occidentali), vi lascio solo un paio di numeri: 2652 ungheresi persero la vita sulle barricate, diverse migliaia furono i feriti, mentre in circa 250000 (il 3 % della popolazione) fuggì via dal paese, perché ormai non graditi: fra questi c'erano anche tre membri dell'Aranycsapat, che per questo motivo non giocheranno mai più in nazionale: sono Zoltan Czibor, Sandor Kocsis e Ferenc Puskas, e senza di loro l'Ungheria è una squadra normale, non di certo d'oro.
I tre raggiungeranno la Spagna, ad accoglierli il loro connazionale Laszlo Kubala, altro campionissimo che come Deak e Nyers (che giocò nell'Inter) non poté mai essere convocato da Sebes, e il calcio ancora se ne duole. Czibor e Kocsis andranno a giocare proprio nella squadra che tempo prima aveva accolto anche Laszlo, il Barcellona: Puskas invece si accaserà a 500 km dalla costa catalana, dove scriverà insieme ad altri campioni del calibro di Di Stefano, Kopa e Gento, un'altra grandissima storia: quella del Grande Real.






PER SAPERNE DI PIU':
http://ilpalloneracconta.blogspot.it/2008/01/puskas-e-laranycsapat.html
http://www.storiedicalcio.altervista.org/grande_ungheria.html
http://fletcherlynd.tumblr.com/post/7195676943/aranycsapat1

SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/8b/Ungheria54.svg/413px-Ungheria54.svg.png
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/e/e9/3-2-3-2_WM_con_numeri.png
https://www.youtube.com/watch?v=cdhBumzco8g
https://www.youtube.com/watch?v=gp_3-n-A-ow
http://www.labdarugo.be/Images/10.Hidegkuti-Nandor.jpg
http://moly.hu/system/statements/original/statements_244128.jpg?1373619776
https://www.youtube.com/watch?v=-hJk3pFDbsA
http://us.news1.yimg.com/us.yimg.com/i/fifa/en/pf/20011221/i/3020570649.jpg
http://uomonelpallone.weebly.com/uploads/2/6/1/5/26158087/6283701.jpg?725
http://www.webalice.it/nbruni1/UNGHERIA%20Carri%20russi%20a%20Budapest%201956%20-
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