Sindelar e la squadra delle meraviglie
La nazionale austriaca di calcio è, senza ombra di dubbio, una delle più scarse del vecchio continente. È infatti da tempo immemore che non riesce ad essere più che una semplice comparsa nelle manifestazioni sportive che contano. A dirla tutta, spesso non riesce ad essere neanche quello: infatti la nazionale alpina manca dalla grande kermesse mondiale dall'edizione francese del 1998, mentre solo l'assegnazione, in comunione con la ben più forte Svizzera, dell'Europeo 2008 ha consentito agli austriaci di esserci per la prima volta in assoluto alla massima competizione continentale, in quanto ammessa di diritto senza passare dalle qualificazioni. Insomma, un ecatombe: naturale che la maggior parte degli austriaci si dia agli sport invernali, dove i risultati sono ben più lusinghieri.
Date queste premesse, si fa fatica a credere che un tempo la squadra austriaca fosse una delle tre-quattro squadre più forti del mondo.
Eppure, quasi come se i grandi artisti austriaci Mozart, Haydn, Schubert e Strauss si fossero reincarnati in atleti che davano calci ad una sfera di cuoio, la nazionale austriaca visse una grandissima stagione calcistica, supportata da una generazione di talenti estremamente virtuosa, che insieme formarono quella squadra che ancora oggi chiamano Wunderteam, la Squadra delle Meraviglie. Insomma, il primissimo dream team della storia dello sport. Due furono però i massimi artefici di quella grandissima squadra, due geni forse irripetibili nella storia del calcio austriaco e che si palesano alla storia del calcio molto raramente: uno sedeva in panchina, ed era il miglior allenatore del tempo: Hugo Meisl. L'altro invece era, se non il migliore in assoluto, uno dei tre più forti calciatori del continente, e il protagonista della nostra storia: "Die Papierene" (carta velina) Matthias Sindelar.
A descrivere Matthias Sindelar, nato nel 1903 a Kozlov, in Moravia, allora parte dell'impero austro-ungarico, ci pensa uno che più e più volte lo ha affrontato, e ha passato parecchie notti insonni ad escogitare una maniera per renderlo inoffensivo, Vittorio Pozzo:
Dopo l'Herta arriva per Sindelar il suo grande amore, l'Austria Vienna, con la quale si consacra come il miglior centravanti dell'epoca, e con la quale vince titoli su titoli in patria e la prestigiosissima Coppa Mitropa, antesignana dell'attuale Champions League. Austria Vienna che è il lasciapassare per la squadra del suo destino, la nazionale austriaca.
Che con lui diventa Wunderteam: Hiden in porta, due terzini davanti a lui, che sono Blum e Schramseis; in seconda linea Hoffman al centro, col compito di dirigere la manovra, e Braun e Nausch ai suoi lati, a tenere sotto controllo le ali avversarie; in avanti 5 uomini: Zischek e Gschweild come ala e interno di destra; Schall e Vogel a far lo stesso dall'altro lato. Al centro lui, Sindelar, a dare un senso coi suoi gol e le sue giocate al modulo messo su da Meisl. Che è sì il Metodo, come lo usava Pozzo, ma diverso nell'idea da quello italiano: l'ex alpino alla guida degli azzurri punta con esso a non prenderle e a buttarla sull'agonismo; viceversa Meisl vede nel Metodo lo schieramento giusto per esaltare i suoi giocatori, per farli giocare palla a terra, per costruire gioco a partire dal portiere, per farli arrivare alla porta avversaria, unico obbiettivo del calcio di Meisl, con trame di gioco e triangolazioni impensabili ai più, con la maniacale ossessione di attaccare lo spazio che sembra quasi di vedere in Meisl il Guardiola dei nostri giorni. E a chi gli chiedeva quale fosse il suo modo di intendere il calcio rispondeva:
Una squadra praticamente imbattibile, che si arrese solo a tre grandi avversari. Il primo fu l'Inghilterra, in amichevole, vendendo però cara la pelle: gli inglesi prevalsero faticosamente 3-4 e Sindelar si rese protagonista di uno slalom speciale (senza sci ovviamente!) col quale partì dal centrocampo e arrivò in rete. Il pubblico si alzò in piedi per applaudire quel gol fantastico, e l'Arsenal cercò in tutti i modi di trasferire il calciatore da Vienna a Londra, ma lui non ne volle sapere. Il secondo fu l'Italia, il 3 giugno 1934, nel match valevole per le semifinali di Coppa del Mondo. A far gioire i coriacei uomini di Pozzo un lampo di Guaita, a fermare gli austriaci le prodezze del portiere Combi. E Sindelar? Di lui si occupò personalmente Luisito Monti, uno che non si faceva problemi ad azzoppare un avversario, quando era palesemente troppo forte per fermarlo con le buone. E Sindelar lo era, e Luisito non si fece problemi: poco male però per carta velina: proprio in ospedale conobbe un'infermiera milanese che parlava il tedesco, Camilla Costagnola, che fu il grande amore della sua vita.
Il terzo avversario, il più sinistro, bieco e sleale, fu Adolf Hitler. Correva l'anno 1938, e la Germania cominciò ad entrare prepotentemente negli affari dell'Austria: il nome del paese mutò da Osterreich a Ostmark (provincia orientale, nella lingua di Goethe), cominciano a vedersi in giro moltissime camicie brune, e parecchi dirigenti calciatici cominciarono a farne le spese. Uno di questi fu il presidente dell'Austria Vienna, ebreo come Sindelar e Camilla. Proprio in questo momento Sindelar smette di essere un calciatore agli occhi di tutti, e in virtù della sua enorme visibilità (è il primo calciatore di sempre, insieme al suo rivale sul campo da gioco Meazza, a prestare la sua immagine per reclamizzare dei prodotti, ad avere insomma degli sponsor personali) comincia a dar dimostrazione, con pochissime parole - è sempre stato molto taciturno - e tanti gesti, di essere un vero uomo, di quelli che non si piegano. Quindi, mentre stanno portando via il vecchio presidente, si rivolse a lui ad alta voce, davanti a tutti, dicendo: "Il nuovo Fuhrer dell'Austria Vienna - perché così ci chiamiamo - ci ha proibito di salutarla. Ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla".
L'ombra funesta del Fuhrer però si allunga sempre di più, fin quando il 12 marzo 1938 succede ciò che tutti temevano: è Anschluss, l'Austria viene annessa all'impero tedesco. Vienna diventa quasi irriconoscibile: ci sono bandiere e svastiche dappertutto, e gente che saluta festante l'unione coi fratelli tedeschi. Quelli che si comincia a non vedere più sono gli ebrei, chissà dove saranno...
Per il calcio l'Anschluss vuol dire tantissimo: di lì a tre mesi infatti si sarebbero giocati i Mondiali 1938 in Francia, ai quali l'Austria è già qualificata. Ma la squadra, il Wunderteam, non ci andrà mai: l'Austria dal 12 marzo non esiste più, e quel 5 giugno la partita con la Svezia allo Stade de Gerland di Lione non si disputò mai.
Il Wunderteam però non sparì così, in una dissolvenza lieve: ci fu un'ultima partita, l'Anschlußspiele - la partita dell'annessione - al Prater di Vienna fra l'Austria e la Germania. La squadra non era più guidata da Meisl, andatosene via l'anno precedente per un arresto cardiaco, che perlomeno gli ha impedito di vedere smembrarsi la sua squadra capolavoro. Al suo posto c'era Sindelar, a cui i nazisti non piacciono, e non ha intenzione di piegarsi passivamente. Zero parole da parte sua, come al solito, ma tanti gesti fortissimi: innanzitutto la scelta della maglia, biancorossa che richiama i colori della bandiera austriaca, e non la classica divisa bianca troppo simile a quella dei tedeschi. Poi, una volta in campo, tiene il braccio decisamente attaccato al corpo, basso, mentre tutto lo stadio esegue il saluto nazista ai gerarchi nazisti presenti, fra i quali lo stesso Hitler.
Poi c'è il campo, luogo dove lui è assoluto padrone, palcoscenico della sua disobbedienza civile: prendeva palla a centrocampo, saltava mezza squadra tedesca e poi, davanti alla porta, la buttava fuori. Finché al 62' decise che quella farsa poteva concludersi, e sempre dopo aver dribblato tutti gli impotenti calciatori tedeschi che trovava sulla sua strada, realizzò il gol dell'1-0. L'occasione per manifestare tutto il suo disprezzo nei confronti del nazismo: Sindelar infatti va a esultare col pugno chiuso proprio sotto ai burocrati e ai militari tedeschi. Poco dopo Sindelar manda in rete Sesta, terzino. A fine partita sono loro due, mentre gli altri compievano il solito saluto di rito, a dare le spalle a gerarchi e burocrati, abbandonando così il campo.
Fu l'ultimo match internazionale del Mozart del calcio: Matthias infatti rinunciò di far parte della nazionale mista tedesca e austriaca che avrebbe rappresentato il terzo reich al mondiale, ricorrendo al suo ginocchio malandato e perennemente fasciato come "giustificazione". Sepp Herberger, ct della nazionale tedesca, che scemo non era, sapeva che Sindelar non gliela diceva giusta, ma con grande sensibilità lasciò a lui la scelta. Sindelar però continuò a giocare con l'Austria Vienna: l'ultima volta il 26 dicembre 1938, a Berlino, contro l'Herta. Ovviamente apponendo la sua firma per la vittoria dei suoi. Dopodiché non giocò più: circa un mese dopo infatti, il 23 gennaio 1939, venne trovato morto insieme alla sua compagna Camilla. La causa della loro morte è tuttora avvolta dal mistero: le fonti ufficiali parlano di avvelenamento da monossido di carbonio, e questo è un fatto. Resta però il dubbio su quanto questo sia stato un incidente, un suicidio o addirittura un omicidio ordito dalla ferocissima Gestapo, forse proprio a causa di quel gesto di ribellione sotto gli occhi del Fuhrer. Complottismo direte? Può darsi: di certo l'archiviazione immediata del caso voluta dalla polizia di stato, che ha quindi escluso la possibilità di indagini più approfondite, non aiuta il regime nazista a liberarsi dei sospetti, pur se postumi...
Cosa ci resta a noi oggi? Restano innanzitutto i gol, i dribbling, i lampi di classe con i quali ha letteralmente abbagliato il calcio degli anni trenta. Ci resta soprattutto però il suo coraggio, la sua fiera opposizione all'arroganza del nazismo, che stava iniziando a fagocitare tutto ciò che c'era di bello nel mondo. E' per tutto questo che Matthias Sindelar ha resistito, pagandone le conseguenze, uscendo dalla ristretta figura del più grande calciatore austriaco di sempre, entrando in quella di uomo di poche parole, che però urlava con ogni suo gesto. Gesti che andavano ben oltre il calcio, come il suo gol alla Germania e la sua corsa col pugno chiuso durante l'Anschlußspiele. Gesti e urla che però rimasero isolate: il rammarico mio, oggi, nel 2015, è proprio quello che ci siano stati troppi pochi Sindelar, troppi pochi col quel coraggio di dire no a quelle idee e volontà malsane che hanno annebbiato la mente e la coscienza di molti, troppi esseri umani, vittime ma contemporaneamente complici di tutto ciò che la storia ci urla ancora oggi, con il suo grido straziante.
Chissà, magari con più uomini come Sindelar oggi, 27 gennaio, non staremmo ricordando un bel niente.
PER SAPERNE DI PIU':
http://www.storiedicalcio.altervista.org/matthias_sindelar.html
http://www.calcioromantico.com/a-spasso-nel-tempo/matthias-sindelar/
http://carotenuto.blogautore.repubblica.it/2014/01/09/rudolf-raftl-il-portiere-che-rimase-senza-patria/
http://tatticamenteparlando.blogspot.it/2013/05/matthias-sindelar-e-la-resistenza-di.html?q=sindelar
SITOGRAFIA IMMAGINI:
http://www.dailyvedas.com/wp-content/uploads/2014/06/wunderteam.jpg
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9eb-8YLTTR4FC78ZOQQwzcexr0FSdJR85lDRXxQspPuy89RLmiDhdXn4Yrx9eqA5XM_rz8tRBlzLCmB1FUO4XcCM5u8E12anbavfB3aivaXh5Lcmyuq-mnjmjCGTnER3xQ-MjPQWZu2c/s400/Sindelar_03.jpg
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http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/sindelar-592.jpg
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Sindelar-colori2.jpg
http://www.calcioromantico.com/wp-content/uploads/2013/02/sindelar-tomba-225x300.jpg
http://worldwithoutgenocide.org/wp-content/uploads/2014/01/Auschwitz.jpg
Date queste premesse, si fa fatica a credere che un tempo la squadra austriaca fosse una delle tre-quattro squadre più forti del mondo.
Eppure, quasi come se i grandi artisti austriaci Mozart, Haydn, Schubert e Strauss si fossero reincarnati in atleti che davano calci ad una sfera di cuoio, la nazionale austriaca visse una grandissima stagione calcistica, supportata da una generazione di talenti estremamente virtuosa, che insieme formarono quella squadra che ancora oggi chiamano Wunderteam, la Squadra delle Meraviglie. Insomma, il primissimo dream team della storia dello sport. Due furono però i massimi artefici di quella grandissima squadra, due geni forse irripetibili nella storia del calcio austriaco e che si palesano alla storia del calcio molto raramente: uno sedeva in panchina, ed era il miglior allenatore del tempo: Hugo Meisl. L'altro invece era, se non il migliore in assoluto, uno dei tre più forti calciatori del continente, e il protagonista della nostra storia: "Die Papierene" (carta velina) Matthias Sindelar.
A descrivere Matthias Sindelar, nato nel 1903 a Kozlov, in Moravia, allora parte dell'impero austro-ungarico, ci pensa uno che più e più volte lo ha affrontato, e ha passato parecchie notti insonni ad escogitare una maniera per renderlo inoffensivo, Vittorio Pozzo:
"Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava. Di profilo pareva piatto, sottile, trasparente, come se la madre ci si fosse seduta su appena nato. A vederlo giocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l'artista della finta. Alla mancanza di fisico sopperiva subito con l'intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea".Un talento con un fisico piccolo, esile, ma tutt'altro che fragile. Matthias infatti è stato forgiato da una vita ricca di difficoltà: quando aveva solo 14 anni e passava tutto il tempo per strada a giocare con un pallone di stracci, fatto coi resti abbandonati della lavanderia di famiglia, suo padre moriva sull'Isonzo, durante la Grande Guerra, e quindi Sindelar dovette impiegarsi nella già precedentemente nominata lavanderia per sostenere economicamente la famiglia. La sua testardaggine nel mettersi a giocare - unica evasione dalla sua vita di povertà e stenti - ogni qual volta ne ha l'opportunità però lo premia, e lo prende fra le sue file l'Herta Vienna. Nel 1925 Sindelar dà nuovamente prova della sua forza: il suo ginocchio destro fa più e più volte i capricci, a causa di un menisco malandato. Il che, in quegli anni, voleva dire game over, perché dopo un infortunio del genere non sarebbe stato più possibile giocare a calcio. A meno che non ti chiami Matthias Sindelar: lui è forte, difficilissimo da mettere al tappeto, e dal 1925 continuerà a giocare ancora per tanti anni, col ginocchio destro perennemente fasciato che sarà il suo segno distintivo, in un epoca dove creste, capelli ossigenati e tatuaggi non erano contemplati.
Dopo l'Herta arriva per Sindelar il suo grande amore, l'Austria Vienna, con la quale si consacra come il miglior centravanti dell'epoca, e con la quale vince titoli su titoli in patria e la prestigiosissima Coppa Mitropa, antesignana dell'attuale Champions League. Austria Vienna che è il lasciapassare per la squadra del suo destino, la nazionale austriaca.
Che con lui diventa Wunderteam: Hiden in porta, due terzini davanti a lui, che sono Blum e Schramseis; in seconda linea Hoffman al centro, col compito di dirigere la manovra, e Braun e Nausch ai suoi lati, a tenere sotto controllo le ali avversarie; in avanti 5 uomini: Zischek e Gschweild come ala e interno di destra; Schall e Vogel a far lo stesso dall'altro lato. Al centro lui, Sindelar, a dare un senso coi suoi gol e le sue giocate al modulo messo su da Meisl. Che è sì il Metodo, come lo usava Pozzo, ma diverso nell'idea da quello italiano: l'ex alpino alla guida degli azzurri punta con esso a non prenderle e a buttarla sull'agonismo; viceversa Meisl vede nel Metodo lo schieramento giusto per esaltare i suoi giocatori, per farli giocare palla a terra, per costruire gioco a partire dal portiere, per farli arrivare alla porta avversaria, unico obbiettivo del calcio di Meisl, con trame di gioco e triangolazioni impensabili ai più, con la maniacale ossessione di attaccare lo spazio che sembra quasi di vedere in Meisl il Guardiola dei nostri giorni. E a chi gli chiedeva quale fosse il suo modo di intendere il calcio rispondeva:
"E' questo il mio sistema: nessun sistema. Intelligenza, velocità e sorpresa sono gli elementi del successo".La sua squadra, seguendo questa filosofia di gioco ben precisa, va alla grande, e il 16 marzo 1931 inizia ufficialmente la storia del Wunderteam: un netto 5-0 alla Scozia, squadra allora assai temibile, l'unica che affrontasse con regolarità i maestri inglesi. Da lì in poi saranno tutte vittorie per quella invincibile armata del pallone, guidata da quello scheletrico, leggero, elegantissimo artista col pallone fra i piedi che penetrava come se niente fosse in area di rigore, e quando lo faceva per il portiere avversario era una sentenza: gol o assist smarcante per un compagno. Lo sa bene il portiere dell'Ungheria che difendeva i pali dei magiari quel giorno di aprile del 1932, quando la sua squadra fu travolta dall'uragano Wunderteam: 8-2 per gli austriaci fu il risultato finale, con Sindelar autore di tre reti e cinque assist.
Una squadra praticamente imbattibile, che si arrese solo a tre grandi avversari. Il primo fu l'Inghilterra, in amichevole, vendendo però cara la pelle: gli inglesi prevalsero faticosamente 3-4 e Sindelar si rese protagonista di uno slalom speciale (senza sci ovviamente!) col quale partì dal centrocampo e arrivò in rete. Il pubblico si alzò in piedi per applaudire quel gol fantastico, e l'Arsenal cercò in tutti i modi di trasferire il calciatore da Vienna a Londra, ma lui non ne volle sapere. Il secondo fu l'Italia, il 3 giugno 1934, nel match valevole per le semifinali di Coppa del Mondo. A far gioire i coriacei uomini di Pozzo un lampo di Guaita, a fermare gli austriaci le prodezze del portiere Combi. E Sindelar? Di lui si occupò personalmente Luisito Monti, uno che non si faceva problemi ad azzoppare un avversario, quando era palesemente troppo forte per fermarlo con le buone. E Sindelar lo era, e Luisito non si fece problemi: poco male però per carta velina: proprio in ospedale conobbe un'infermiera milanese che parlava il tedesco, Camilla Costagnola, che fu il grande amore della sua vita.
Il terzo avversario, il più sinistro, bieco e sleale, fu Adolf Hitler. Correva l'anno 1938, e la Germania cominciò ad entrare prepotentemente negli affari dell'Austria: il nome del paese mutò da Osterreich a Ostmark (provincia orientale, nella lingua di Goethe), cominciano a vedersi in giro moltissime camicie brune, e parecchi dirigenti calciatici cominciarono a farne le spese. Uno di questi fu il presidente dell'Austria Vienna, ebreo come Sindelar e Camilla. Proprio in questo momento Sindelar smette di essere un calciatore agli occhi di tutti, e in virtù della sua enorme visibilità (è il primo calciatore di sempre, insieme al suo rivale sul campo da gioco Meazza, a prestare la sua immagine per reclamizzare dei prodotti, ad avere insomma degli sponsor personali) comincia a dar dimostrazione, con pochissime parole - è sempre stato molto taciturno - e tanti gesti, di essere un vero uomo, di quelli che non si piegano. Quindi, mentre stanno portando via il vecchio presidente, si rivolse a lui ad alta voce, davanti a tutti, dicendo: "Il nuovo Fuhrer dell'Austria Vienna - perché così ci chiamiamo - ci ha proibito di salutarla. Ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla".
L'ombra funesta del Fuhrer però si allunga sempre di più, fin quando il 12 marzo 1938 succede ciò che tutti temevano: è Anschluss, l'Austria viene annessa all'impero tedesco. Vienna diventa quasi irriconoscibile: ci sono bandiere e svastiche dappertutto, e gente che saluta festante l'unione coi fratelli tedeschi. Quelli che si comincia a non vedere più sono gli ebrei, chissà dove saranno...
Per il calcio l'Anschluss vuol dire tantissimo: di lì a tre mesi infatti si sarebbero giocati i Mondiali 1938 in Francia, ai quali l'Austria è già qualificata. Ma la squadra, il Wunderteam, non ci andrà mai: l'Austria dal 12 marzo non esiste più, e quel 5 giugno la partita con la Svezia allo Stade de Gerland di Lione non si disputò mai.
Il Wunderteam però non sparì così, in una dissolvenza lieve: ci fu un'ultima partita, l'Anschlußspiele - la partita dell'annessione - al Prater di Vienna fra l'Austria e la Germania. La squadra non era più guidata da Meisl, andatosene via l'anno precedente per un arresto cardiaco, che perlomeno gli ha impedito di vedere smembrarsi la sua squadra capolavoro. Al suo posto c'era Sindelar, a cui i nazisti non piacciono, e non ha intenzione di piegarsi passivamente. Zero parole da parte sua, come al solito, ma tanti gesti fortissimi: innanzitutto la scelta della maglia, biancorossa che richiama i colori della bandiera austriaca, e non la classica divisa bianca troppo simile a quella dei tedeschi. Poi, una volta in campo, tiene il braccio decisamente attaccato al corpo, basso, mentre tutto lo stadio esegue il saluto nazista ai gerarchi nazisti presenti, fra i quali lo stesso Hitler.
Poi c'è il campo, luogo dove lui è assoluto padrone, palcoscenico della sua disobbedienza civile: prendeva palla a centrocampo, saltava mezza squadra tedesca e poi, davanti alla porta, la buttava fuori. Finché al 62' decise che quella farsa poteva concludersi, e sempre dopo aver dribblato tutti gli impotenti calciatori tedeschi che trovava sulla sua strada, realizzò il gol dell'1-0. L'occasione per manifestare tutto il suo disprezzo nei confronti del nazismo: Sindelar infatti va a esultare col pugno chiuso proprio sotto ai burocrati e ai militari tedeschi. Poco dopo Sindelar manda in rete Sesta, terzino. A fine partita sono loro due, mentre gli altri compievano il solito saluto di rito, a dare le spalle a gerarchi e burocrati, abbandonando così il campo.
Fu l'ultimo match internazionale del Mozart del calcio: Matthias infatti rinunciò di far parte della nazionale mista tedesca e austriaca che avrebbe rappresentato il terzo reich al mondiale, ricorrendo al suo ginocchio malandato e perennemente fasciato come "giustificazione". Sepp Herberger, ct della nazionale tedesca, che scemo non era, sapeva che Sindelar non gliela diceva giusta, ma con grande sensibilità lasciò a lui la scelta. Sindelar però continuò a giocare con l'Austria Vienna: l'ultima volta il 26 dicembre 1938, a Berlino, contro l'Herta. Ovviamente apponendo la sua firma per la vittoria dei suoi. Dopodiché non giocò più: circa un mese dopo infatti, il 23 gennaio 1939, venne trovato morto insieme alla sua compagna Camilla. La causa della loro morte è tuttora avvolta dal mistero: le fonti ufficiali parlano di avvelenamento da monossido di carbonio, e questo è un fatto. Resta però il dubbio su quanto questo sia stato un incidente, un suicidio o addirittura un omicidio ordito dalla ferocissima Gestapo, forse proprio a causa di quel gesto di ribellione sotto gli occhi del Fuhrer. Complottismo direte? Può darsi: di certo l'archiviazione immediata del caso voluta dalla polizia di stato, che ha quindi escluso la possibilità di indagini più approfondite, non aiuta il regime nazista a liberarsi dei sospetti, pur se postumi...
Cosa ci resta a noi oggi? Restano innanzitutto i gol, i dribbling, i lampi di classe con i quali ha letteralmente abbagliato il calcio degli anni trenta. Ci resta soprattutto però il suo coraggio, la sua fiera opposizione all'arroganza del nazismo, che stava iniziando a fagocitare tutto ciò che c'era di bello nel mondo. E' per tutto questo che Matthias Sindelar ha resistito, pagandone le conseguenze, uscendo dalla ristretta figura del più grande calciatore austriaco di sempre, entrando in quella di uomo di poche parole, che però urlava con ogni suo gesto. Gesti che andavano ben oltre il calcio, come il suo gol alla Germania e la sua corsa col pugno chiuso durante l'Anschlußspiele. Gesti e urla che però rimasero isolate: il rammarico mio, oggi, nel 2015, è proprio quello che ci siano stati troppi pochi Sindelar, troppi pochi col quel coraggio di dire no a quelle idee e volontà malsane che hanno annebbiato la mente e la coscienza di molti, troppi esseri umani, vittime ma contemporaneamente complici di tutto ciò che la storia ci urla ancora oggi, con il suo grido straziante.
Chissà, magari con più uomini come Sindelar oggi, 27 gennaio, non staremmo ricordando un bel niente.
PER SAPERNE DI PIU':
http://www.storiedicalcio.altervista.org/matthias_sindelar.html
http://www.calcioromantico.com/a-spasso-nel-tempo/matthias-sindelar/
http://carotenuto.blogautore.repubblica.it/2014/01/09/rudolf-raftl-il-portiere-che-rimase-senza-patria/
http://tatticamenteparlando.blogspot.it/2013/05/matthias-sindelar-e-la-resistenza-di.html?q=sindelar
SITOGRAFIA IMMAGINI:
http://www.dailyvedas.com/wp-content/uploads/2014/06/wunderteam.jpg
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