L'ultima delle italiane: la cavalcata dell'Inter di Mourinho
C'era una volta il calcio italiano, il più avvincente, forte e ricco di campioni di tutta Europa...
Per uno che si sta affacciando solo adesso allo straordinario mondo del calcio, se gli dite che un tempo la Champions League e la Coppa Uefa erano affare esclusivamente nostro o quasi, probabilmente alle sue orecchie il nostro discorso arriverà proprio in questa maniera: come una fiaba. Se cominci a seguire solo adesso il calcio, in piena era di dominio anglo-ispanico con il Bayern Monaco di Guardiola a far da terzo, temutissimo incomodo, in un periodo dove i campionissimi come Messi e Cristiano Ronaldo (a proposito, chapeau per il suo terzo Pallone d'oro appena conquistato) sono irraggiungibili per i nostri club, stenti davvero a credere che una volta i grandi erano tutti divisi fra le nostre squadre, e che la Champions giungeva anche al di qua delle Alpi...
Per la verità, non è passato nemmeno troppo tempo dall'ultimo viaggio in Italia della coppa dalle grandi orecchie, ma secondo i canoni del calcio moderno cinque anni se non sono un'era geologica, sono comunque un'eternità. Parliamo dunque al passato, con quel tono nostalgico che si usa per queste occasioni, adesso che ci rivolgiamo all'Inter 2009-2010, quella dello storico Triplete, l'ultima delle italiane a trionfare in Europa, sperando che magari già da quest'anno si possa togliere questo ultimo "titolo" a quella grandissima squadra...
L'allenatore: Da dove partiamo dunque? Dal suo autentico condottiero, lo stratega portoghese José Mourinho, noto anche come Special One. Inutile che sprechi parole sul suo carattere, perché lo conoscete tutti: spocchioso, arrogante, spavaldo, presuntuoso, sbruffone anche, uno di quelli che non si fa dare in pasto alla stampa, ma anzi è la stampa che va, spesso e volentieri, in pasto a Mourinho. Da quando è in Italia, dall'estate 2008, ogni sua dichiarazione a mezzo stampa è una mezza minaccia di guerra, o quando è tranquillo un'allegra presa per i fondelli nei confronti dei suoi colleghi e dei suoi avversari. Un personaggio poco tranquillo, e assai scomodo per la verità: ma Moratti lo sopporta tranquillamente, perché sa che come ci sa fare lui coi calciatori, pochi altri ne sono in grado. Non è solo uno psicologo però: è anche un finissimo tattico, ed è molto abile a leggere le partite. Doti che lo hanno portato a vincere tantissimo: al Porto vince tutto a livello nazionale, ma soprattutto conquista la Coppa UEFA nel 2003 e la Champions League nel 2004, da assoluto outsider; al Chelsea conquisterà numerosi titoli nazionali (che mancavano da cinquanta anni), ma non riuscirà a ripetersi in Europa. E' proprio con questo obbiettivo che subentra a Roberto Mancini nel 2008 sulla panchina dell'Inter, dove vince subito il campionato, ma viene eliminato agli ottavi di Champions dal Manchester United di Ferguson.
In bilico sul ciglio del burrone: Il 27 agosto il sorteggio non è benevolo, anzi: il gruppo F, quello dei nerazzurri, vede come protagoniste anche il Barcellona campione in carica (Ibra do you remember?), la Dinamo Kiev di Andriy Shevchenko (non un bel ricordo per i nerazzurri, anzi...) e i temibili russi del Rubin Kazan, che fra le squadre della quarta fascia è di certo la più tosta. La partenza è a rilento, con tre pareggi (0-0 col Barcellona, 1-1 in Russia e 2-2 con la Dinamo) che mettono l'Inter in una condizione scomoda: il 4 novembre, allo stadio Lobanovski di Kiev, deve necessariamente vincere. Come succede sempre in queste situazioni, a passare in vantaggio è la Dinamo, con un gol proprio di Shevchenko. Quando sembra tutto finito, all'85 minuto di gioco è Milito a pareggiare e, quattro minuti dopo, al termine di un'azione rocambolesca Sneijder regala la prima, cruciale vittoria interista in Champions League.
Ma l'Inter è abituata a complicarsi la vita, e a Barcellona Piqué e Pedro regolano in meno di mezz'ora la pratica Inter. Nuova partita da dentro o fuori quindi, questa volta a San Siro contro il Rubin Kazan: l'Inter non sbaglia, e prima Eto'o e poi Balotelli, con una punizione da trenta metri, fissano il risultato finale sul 2-0, e tanto basta all'Inter per passare il girone come seconda classificata.
Road to Madrid: La marcia nerazzurra verso la capitale spagnola, dove si disputerà l'atto finale della manifestazione il 22 maggio 2010, continua passando attraverso un'altra capitale, e un nuovo incrocio con il passato. Per la serie "c'eravamo tanto amati", l'urna di Nyon sceglie per Mourinho e i suoi ragazzi il Chelsea, che per la serie "c'eravamo tanto odiati", è guidato in panchina dall'ex allenatore milanista, e rivale dello Special One, Carlo Ancelotti. Avversario dunque tosto, ma la partita si mette subito in discesa, e dopo soli tre minuti il solito Milito già esulta. Il Chelsea non molla, e agguanta il pareggio a inizio ripresa con Kalou, ma dopo soli quattro minuti Cambiasso riporta in vantaggio i suoi, che nonostante l'ingresso di Balotelli non riescono a piazzare il colpo del K.O. Se ne riparla a Londra, dunque, dove i blues mettono più volte in difficoltà i nerazzurri, cercando con un forcing insistente il gol qualificazione. L'Inter però dietro è quadratissima, tanto quanto è spietata davanti: e dopo tanto soffrire, finalmente Sneijder lancia sul filo del fuorigioco Eto'o, che controlla splendidamente e segna il gol della tranquillità.
Quarti di finale dunque: avversari i russi del CSKA Mosca, un ostacolo sulla carta molto più agevole rispetto al Chelsea, ma a questo punto della competizione vale il vecchio adagio trapattoniano "Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco". L'Inter parte arrembante, e un ottimo Akinfeev nega la gioia del gol a Stankovic, Eto'o e Pandev (arrivato durante il mercato di riparazione), ma deve arrendersi all'ennesima firma del Principe. Resterà l'unica però, perché l'assalto dell'Inter viene disinnescato dall'ottima difesa dei russi, che restano vivi, e rimandano il discorso al ritorno. Il 6 aprile a Mosca va di scena la partita di ritorno, che in un certo senso sembra l'ennesima campagna russa di un europeo. In Italia la domanda è la stessa: riuscirà il generale José nell'impresa, lì dove hanno fallito Napoleone e Hitler? Una cosa è certa però: a differenza dei grandi generali del passato, José ha l'arma per espugnare Mosca, e si chiama Wesley Sneijder. Come ai gironi, anche questa volte risolve lui la pratica est, e dopo sei minuti mette in chiaro, su punizione, che la semifinale è affare nerazzurro.
Ancora tu...: L'incrocio del tabellone porta, per un curioso scherzo del destino (non è la prima volta, ricordate cosa successe nel 1999?), a una nuova sfida Inter-Barcellona in semifinale, a giocarsi l'accesso alla finale del Bernabeu. Sulla carta non c'è storia, il Barcellona è una squadra di alieni, con tantissimi fuoriclasse, dove addirittura Ibrahimovic, trascinatore dell'Inter negli anni passati, fatica a trovare spazio in campo. E poi, nei gironi il Barcellona ha ampiamente dimostrato di essere superiore ai nerazzurri, che quasi festeggiavano dopo lo 0-0 a San Siro, e hanno accettato con rassegnazione la netta sconfitta del Camp Nou. L'Inter, ormai lo avrete capito, è un'altra squadra rispetto a quella pavida e impaurita che ha superato il girone: adesso è una squadra determinata, consapevole dei suoi notevolissimi mezzi, che come i migliori pugili sa darle ma sa anche soffrire e incassare senza mai gettare la spugna, e sa che ha l'occasione di poter scrivere la storia come non succede da anni. Il 20 aprile, a San Siro, cominciano a far paura gli ex: Maxwell sulla fascia è un razzo che mette un cross che Ibra prova a deviare di tacco, marchio di casa, ma non ci riesce; poi l'ex blaugrana Eto'o impegna Valdes, che respinge in qualche modo, con Milito che non riesce ad approfittarne. Sempre ex, e se il più atteso di tutti, Ibrahimovic, latita, è ancora Maxwell a fuggire sulla fascia sinistra e a mettere in mezzo un pallone, che vaga in area di rigore fino al piattone di Pedro, che lo mette là dove Julio Cesar non può arrivare. Siamo alle solite? Il gol è la giusta scossa per questa squadra, che adesso prende le contromisure: lasciato Ibra alle cure, scomposte ma efficaci, di Lucio, sono i tre moschettieri Samuel, Cambiasso e Motta a far sì che Messi non veda mai lo specchio della porta, mentre all'utilissimo Sneijder spetta il compito arduo di ostacolare il cervello della squadra Xavi. Il Barcellona in questo modo non è annullato, perché i fortissimi uomini di Guardiola continuano a mantenere il possesso palla, ma esso risulta sterile, e anzi sono costretti a difendersi dagli attacchi del solito Milito. Che oggi è l'uomo della partita, ancor più del solito: è per evitare che lui batta a rete che ben tre uomini si parano davanti al Principe, una volta che questi ha ricevuto palla da Maicon. Ma non c'è problema per l'argentino, che infatti scarica il pallone nel buco venutosi a creare, dove ci si è buttato come un fiume in piena il solito Sneijder: 1-1 alla mezz'ora.
Poco dopo il via alla seconda frazione Pandev è già in percussione centrale in mezzo all'altissima difesa catalana, vede Milito scattare sul filo del fuorigioco e lo serve. Il Principe si trova però in posizione defilata, non il massimo per battere a rete: vede però che è arrivato a rimorchio Maicon, difensore noto per il suo non disdegnare la discesa in avanti e la ricerca del gol, che puntualmente arriva.
Una serata perfetta, da fabia verrebbe da dire. E, in una fiaba che si rispetti, può mai mancare il sigillo del Principe? Folle da immaginarsi solo un giorno prima, nella notte dei sogni nerazzurri in cui tutto è possibile arriva puntuale anche il colpo del 3-1, gol ovviamente di Milito, dopo un cross di Eto'o corretto dalla sponda di Sneijder. Il Barcellona è alle corde, ma ci prova ancora con Messi su punizione, con un monumentale Julio Cesar a rispondere, e con Piqué, sul quale interviene sulla linea in maniera quasi miracolosa Lucio.
Se la partita d'andata è coincisa col momento in cui l'Inter ha svolto bene il suo compito di battere il ferro finché è caldo, otto giorni dopo la partita del Camp Nou si prospetta come un vero e proprio parto per l'Inter, e doloroso alla stessa maniera per le coronarie dei tifosi. L'impianto di Barcellona è un'arena infernale, di quelle che solo le tifoserie latine sanno creare, alla ricerca della Remuntada. Il Barcellona parte subito fortissimo, con l'Inter che interpreta la partita con un atteggiamento molto italiano, occupandosi solo di coprire e chiudere gli spazi, richiamando al sacrificio ogni suo uomo.
Sacrificio che viene moltiplicato quando alla mezz'ora Thiago Motta tocca con la mano la faccia di Busquets, rimediando il cartellino rosso. A nulla valgono le proteste degli interisti, che colgono sul fatto il canterano mentre, con la faccia fra le mani, spia attraverso le dita la decisione presa dal direttore di gara De Bleeckere. Mourinho è una furia, ma ha pronta la contromossa, chiedendo un ulteriore sacrificio in fase di copertura proprio al grande protagonista della campagna acquisti estiva, il divo Samuel Eto'o. Che, sarà pure una prima donna, ma è anche un grande calciatore affamato di vittoria, e se per raggiungerla serve che, da centravanti puro (uno dei più efficaci d'Europa, a dirla tutta), si trasformi per 60 minuti in terzino, allora ben venga.
La partita di passione continua, e sugli scudi sale quello che è considerato uno dei migliori al mondo nel suo ruolo: il portiere Julio Cesar, che compie un autentico miracolo al 32' su Messi, che pure ha più difficoltà del solito, visto che sulla sua strada si trova lo storico capitano Javier Zanetti, che gli impedisce di spadroneggiare come fa di solito la Pulce. Gli attacchi dei blaugrana si fanno man mano sempre più rabbiosi, ma meno precisi, scoraggiati dalla linea Maginot eretta in Catalogna da Mourinho. E' solo un centravanti improvvisato, Gerard Piqué, a battere Julio Cesar, ma l'1-0 finale non basta, Inter in finale di Champions League, e Mourinho che, dopo una partita di passione, non riesce più a trattenere la gioia di aver battuto i campioni di tutto di Guardiola, e corre per il campo fino al settore ospiti, a prendersi l'abbraccio dei cinquemila fedelissimi che hanno seguito la squadra anche lì, nella tana del lupo dalla quale non avrebbero dovuto uscire vittoriosi.
L'atto finale: Intascato finalmente il biglietto per Madrid, non resta che aspettare la fatidica data del 22 maggio 2010, quella in cui si sarebbe decisa la cinquantacinquesima edizione della Champions League. L'ultimo ostacolo fra l'Inter, cui manca quella coppa dal lontano 1965, è una grande nobile del calcio europeo, il Bayern Monaco, allenato da Louis Van Gaal. Per numerosi fattori, quella finale è speciale per tutti: innanzitutto l'Inter non gioca una partita del genere dal 1972, quando trovò sulla sua strada il grande Ajax e il suo profeta, il grandissimo Johan Cruijff. Poi per ciò che può significare questa vittoria per entrambe le squadre: la stagione perfetta. I ragazzi di Mourinho hanno infatti già conquistato, rispettivamente il 5 e il 16 maggio, la Coppa Italia e il quinto scudetto di fila, titoli conquistati anche in Germania dai fortissimi bavaresi. Chi vince, quindi, completerà quello che viene chiamato triplete, ovvero la conquista di tutti i maggiori trofei disponibili, riuscito fino ad allora solo in cinque occasioni, al Celtic nel 1967 (anche qui, avversari degli scozzesi furono i nerazzurri), all'Ajax proprio nel 1972, al PSV nel 1988, al Manchester United nel 1999 (e questo i bavaresi se lo ricordano molto bene) e al Barcellona l'anno precedente.
Inter-Bayern Monaco vede inoltre riproporsi l'antica ma sempreverde scena dell'allievo che sfida il maestro, essendo stato Mourinho il vice proprio di Van Gaal al Barcellona dal 1997 al 2000. Infine, la partita ha un sapore speciale per due protagonisti in particolare: Sneijder per l'Inter e Robben per il Bayern. Avete presente la smobilitazione Real della scorsa estate? L'altra vittima illustre, oltre a Wes, è stata proprio l'altro olandese volante. E adesso sono entrambi a sfidarsi faccia a faccia, a giocarsi l'uno contro l'altro la conquista della coppa più ambita proprio al Santiago Bernabeu, teatro che era loro ma dal quale erano stati allontanati in nome di una sontuosa campagna di rafforzamento. E di dubbi che lo sia stata effettivamente, quella sera, ne vennero parecchi sia a tifosi che dirigenti dei galacticos.


2-0 Inter: è solo il 70', ma in realtà la partita finisce lì, con Mourinho che concede l'ultima passerella della stagione anche alla bandiera Materazzi. Il triplice fischio di Webb serve solo a dare l'ufficialità ad una festa partita già da tempo sia a Madrid che a Milano, solo l'autorizzazione che serve agli undici calciatori nerazzurri per poter gioire come bambini: in particolare gioisce come un pazzo Zanetti, uno che è arrivato alla squadra di Moratti nel 1995, che ha visto per tanto tempo vincere "gli altri", nonostante i milioni investiti in fase di mercato da Moratti per portare in maglia nerazzurra campioni o presunti tali. La fine della partita è solo la certificazione per il condottiero Mourinho, anche lui in lacrime nonostante l'atteggiamento da duro che manifesta sempre in pubblico, di essere entrato nella storia: prima di lui solo Ernst Happel e Ottmar Hitzfeld erano riusciti a vincere la Champions League con due club differenti. Il fischio di Webb è anche la fine di un'era, per l'Inter e per il calcio italiano: Mourinho sarà il primo a lasciare Milano, proprio per tentare l'avventura di conquistare la decima del Real Madrid, in quello stadio che ancora adesso sente suo, più per quella notte di maggio a tinte nerazzurre che per il suo trascorso alle merengues. Dopo di lui lasceranno un po' tutti, per un motivo o per un altro, tanto che all'alba della stagione 2014-2015 nessun calciatore che ha conquistato il triplete veste più la maglia nerazzurra (nerazzurra? Ma questa è un'altra storia). Ma soprattutto, dal 22 maggio 2010 in poi nessun'altra squadra italiana è riuscita ad andare oltre i quarti di finale di Champions. Perciò, fino a nuove imprese che difficilmente sono scrutabili all'orizzonte, l'Inter di Mourinho, quella del triplete, sarà l'ultima delle italiane.
PER SAPERNE DI PIU':
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/24-02-2010/inter-chelsea-603108101709.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/16-03-2010/chelsea-inter-ultime-603327834988.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/31-03-2010/cc-603493528573.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/06-04-2010/sneijder-zar-russia-603556442619.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/20-04-2010/inter-notte-gloria-603714348837.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/28-04-2010/inter-difesa-eroica-603800058498.shtml
http://www.sportlive.it/calcio/inter-bayern-monaco-finale-champions-league-2010-risultato-tabellino-video-pagelle.html
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://goldensoccersignings.co.uk/wp-content/uploads/2014/03/Inter-Milan-UEFA-Champions-League-Winner1.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/a5/Jose_Mourinho_-_Inter_Mailand_%285%29.jpg/233px-Jose_Mourinho_-_Inter_Mailand_%285%29.jpg
http://www.blitzquotidiano.it/wp/wp/wp-content/uploads/2010/06/ibra2.jpg
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http://i.dailymail.co.uk/i/pix/2010/03/16/article-1258412-08BED178000005DC-892_468x286.jpg
http://sport.sky.it/static/contentimages/original/sezioni/sport/champions_league/2010/04/06/cska_inter_punizione_sneijder_ap.jpg
http://images.gazzetta.it/Hermes%20Foto/2010/04/20/0L170JBA--300x145.jpg
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https://www.youtube.com/watch?v=QlJJ3vbh-0k
Per uno che si sta affacciando solo adesso allo straordinario mondo del calcio, se gli dite che un tempo la Champions League e la Coppa Uefa erano affare esclusivamente nostro o quasi, probabilmente alle sue orecchie il nostro discorso arriverà proprio in questa maniera: come una fiaba. Se cominci a seguire solo adesso il calcio, in piena era di dominio anglo-ispanico con il Bayern Monaco di Guardiola a far da terzo, temutissimo incomodo, in un periodo dove i campionissimi come Messi e Cristiano Ronaldo (a proposito, chapeau per il suo terzo Pallone d'oro appena conquistato) sono irraggiungibili per i nostri club, stenti davvero a credere che una volta i grandi erano tutti divisi fra le nostre squadre, e che la Champions giungeva anche al di qua delle Alpi...
Per la verità, non è passato nemmeno troppo tempo dall'ultimo viaggio in Italia della coppa dalle grandi orecchie, ma secondo i canoni del calcio moderno cinque anni se non sono un'era geologica, sono comunque un'eternità. Parliamo dunque al passato, con quel tono nostalgico che si usa per queste occasioni, adesso che ci rivolgiamo all'Inter 2009-2010, quella dello storico Triplete, l'ultima delle italiane a trionfare in Europa, sperando che magari già da quest'anno si possa togliere questo ultimo "titolo" a quella grandissima squadra...
L'allenatore: Da dove partiamo dunque? Dal suo autentico condottiero, lo stratega portoghese José Mourinho, noto anche come Special One. Inutile che sprechi parole sul suo carattere, perché lo conoscete tutti: spocchioso, arrogante, spavaldo, presuntuoso, sbruffone anche, uno di quelli che non si fa dare in pasto alla stampa, ma anzi è la stampa che va, spesso e volentieri, in pasto a Mourinho. Da quando è in Italia, dall'estate 2008, ogni sua dichiarazione a mezzo stampa è una mezza minaccia di guerra, o quando è tranquillo un'allegra presa per i fondelli nei confronti dei suoi colleghi e dei suoi avversari. Un personaggio poco tranquillo, e assai scomodo per la verità: ma Moratti lo sopporta tranquillamente, perché sa che come ci sa fare lui coi calciatori, pochi altri ne sono in grado. Non è solo uno psicologo però: è anche un finissimo tattico, ed è molto abile a leggere le partite. Doti che lo hanno portato a vincere tantissimo: al Porto vince tutto a livello nazionale, ma soprattutto conquista la Coppa UEFA nel 2003 e la Champions League nel 2004, da assoluto outsider; al Chelsea conquisterà numerosi titoli nazionali (che mancavano da cinquanta anni), ma non riuscirà a ripetersi in Europa. E' proprio con questo obbiettivo che subentra a Roberto Mancini nel 2008 sulla panchina dell'Inter, dove vince subito il campionato, ma viene eliminato agli ottavi di Champions dal Manchester United di Ferguson.
La squadra: Un grande tecnico però da solo non basta, come tutti sappiamo. L'Inter però ha una bella squadra, che da quattro anni (sì quattro, qui non ci interessano controversie giuridiche) vince il campionato italiano, ma che in Europa fatica a imporsi. L'ossatura della squadra è composta da una difesa che concede poco, i cui protagonisti sono il portiere Julio Cesar, in quegli anni decisamente il più forte del campionato, e i veterani Samuel, l'eroe di Berlino Materazzi e il capitano di centinaia di battaglie Javier Zanetti, un centrocampo tosto che abbina la forza fisica di Vieira, l'efficacia di Stankovic e l'intelligenza tattica di Cambiasso, e un attacco prolifico, che vede fra le sue fila i concreti Crespo e Cruz, la classe cristallina dell'ala Figo e il talento smisurato, che centralizza tutto il gioco nerazzurro, di Zlatan Ibrahimovic.
Il mercato: Ibrahimovic... croce e delizia: perché questo stupendo campione non riesce a trascinare i nerazzurri al di là delle Alpi come fa invece in Italia, dove da quattro stagioni a questa parte è il calciatore più decisivo del campionato? Mourinho si pone questa domanda, ma non si dà la risposta: adocchia invece un centravanti che ha fatto una marea di gol con la maglia del Genoa, e soprattutto nota che a Barcellona il suo rivale Pep Guardiola sta provando a costruire la versione calcistica del Dream Team. Come la Nazionale olimpica di basket si presentò alle olimpiadi 1992 con Jordan, Johnson, Bird, Pippen, Malone e tutti gli altri, anche il Barcellona voleva arrivare alla successiva Champions League con l'attacco da sogno Messi, Henry, Pedro e lui. Ibra. A questo punto, Mourinho decide di passare ad altri il problema "Euro-Ibra" e accetta ben volentieri i 50 milioni che provengono dalla Catalogna, insieme al cartellino del campionissimo Samuel Eto'o, che a differenza dello svedese ha già in bacheca due Champions League, con tanto di gol in finale sia nel 2006 che nel 2009. Eto'o da solo non basta però: quindi l'altro centravanti adocchiato da Mourinho, Diego Alberto Milito, prende l'A7 e giunge a Milano, accompagnato da un rinforzo di centrocampo, l'italobrasiliano Thiago Motta. L'attacco viene infine completato dalla giovane scommessa austriaca Arnautovic, dal rientrante Suazo e dal giovane, ma già da due stagioni in prima squadra, Mario Balotelli. Le coppe si vincono però partendo dalla difesa, e anche questo reparto è interessato da numerosi cambiamenti: vanno via Burdisso e Maxwell, e al suo posto viene ingaggiato il brasiliano Lucio dal Bayern Monaco e confermata la fiducia alla giovanissima scoperta di Mourinho, il terzino Davide Santon. Last but not least, negli ultimi giorni di mercato l'Inter si assicura le prestazioni di Wesley Sneijder, una fra le tante vittime della smobilitazione in casa Real Madrid, dovuta alla sontuosa campagna acquisti voluta da Florentino Perez, che vuole costruire un altro Dream Team da contrapporre a quello blaugrana.In bilico sul ciglio del burrone: Il 27 agosto il sorteggio non è benevolo, anzi: il gruppo F, quello dei nerazzurri, vede come protagoniste anche il Barcellona campione in carica (Ibra do you remember?), la Dinamo Kiev di Andriy Shevchenko (non un bel ricordo per i nerazzurri, anzi...) e i temibili russi del Rubin Kazan, che fra le squadre della quarta fascia è di certo la più tosta. La partenza è a rilento, con tre pareggi (0-0 col Barcellona, 1-1 in Russia e 2-2 con la Dinamo) che mettono l'Inter in una condizione scomoda: il 4 novembre, allo stadio Lobanovski di Kiev, deve necessariamente vincere. Come succede sempre in queste situazioni, a passare in vantaggio è la Dinamo, con un gol proprio di Shevchenko. Quando sembra tutto finito, all'85 minuto di gioco è Milito a pareggiare e, quattro minuti dopo, al termine di un'azione rocambolesca Sneijder regala la prima, cruciale vittoria interista in Champions League.
Ma l'Inter è abituata a complicarsi la vita, e a Barcellona Piqué e Pedro regolano in meno di mezz'ora la pratica Inter. Nuova partita da dentro o fuori quindi, questa volta a San Siro contro il Rubin Kazan: l'Inter non sbaglia, e prima Eto'o e poi Balotelli, con una punizione da trenta metri, fissano il risultato finale sul 2-0, e tanto basta all'Inter per passare il girone come seconda classificata.
Road to Madrid: La marcia nerazzurra verso la capitale spagnola, dove si disputerà l'atto finale della manifestazione il 22 maggio 2010, continua passando attraverso un'altra capitale, e un nuovo incrocio con il passato. Per la serie "c'eravamo tanto amati", l'urna di Nyon sceglie per Mourinho e i suoi ragazzi il Chelsea, che per la serie "c'eravamo tanto odiati", è guidato in panchina dall'ex allenatore milanista, e rivale dello Special One, Carlo Ancelotti. Avversario dunque tosto, ma la partita si mette subito in discesa, e dopo soli tre minuti il solito Milito già esulta. Il Chelsea non molla, e agguanta il pareggio a inizio ripresa con Kalou, ma dopo soli quattro minuti Cambiasso riporta in vantaggio i suoi, che nonostante l'ingresso di Balotelli non riescono a piazzare il colpo del K.O. Se ne riparla a Londra, dunque, dove i blues mettono più volte in difficoltà i nerazzurri, cercando con un forcing insistente il gol qualificazione. L'Inter però dietro è quadratissima, tanto quanto è spietata davanti: e dopo tanto soffrire, finalmente Sneijder lancia sul filo del fuorigioco Eto'o, che controlla splendidamente e segna il gol della tranquillità.
Quarti di finale dunque: avversari i russi del CSKA Mosca, un ostacolo sulla carta molto più agevole rispetto al Chelsea, ma a questo punto della competizione vale il vecchio adagio trapattoniano "Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco". L'Inter parte arrembante, e un ottimo Akinfeev nega la gioia del gol a Stankovic, Eto'o e Pandev (arrivato durante il mercato di riparazione), ma deve arrendersi all'ennesima firma del Principe. Resterà l'unica però, perché l'assalto dell'Inter viene disinnescato dall'ottima difesa dei russi, che restano vivi, e rimandano il discorso al ritorno. Il 6 aprile a Mosca va di scena la partita di ritorno, che in un certo senso sembra l'ennesima campagna russa di un europeo. In Italia la domanda è la stessa: riuscirà il generale José nell'impresa, lì dove hanno fallito Napoleone e Hitler? Una cosa è certa però: a differenza dei grandi generali del passato, José ha l'arma per espugnare Mosca, e si chiama Wesley Sneijder. Come ai gironi, anche questa volte risolve lui la pratica est, e dopo sei minuti mette in chiaro, su punizione, che la semifinale è affare nerazzurro.
Ancora tu...: L'incrocio del tabellone porta, per un curioso scherzo del destino (non è la prima volta, ricordate cosa successe nel 1999?), a una nuova sfida Inter-Barcellona in semifinale, a giocarsi l'accesso alla finale del Bernabeu. Sulla carta non c'è storia, il Barcellona è una squadra di alieni, con tantissimi fuoriclasse, dove addirittura Ibrahimovic, trascinatore dell'Inter negli anni passati, fatica a trovare spazio in campo. E poi, nei gironi il Barcellona ha ampiamente dimostrato di essere superiore ai nerazzurri, che quasi festeggiavano dopo lo 0-0 a San Siro, e hanno accettato con rassegnazione la netta sconfitta del Camp Nou. L'Inter, ormai lo avrete capito, è un'altra squadra rispetto a quella pavida e impaurita che ha superato il girone: adesso è una squadra determinata, consapevole dei suoi notevolissimi mezzi, che come i migliori pugili sa darle ma sa anche soffrire e incassare senza mai gettare la spugna, e sa che ha l'occasione di poter scrivere la storia come non succede da anni. Il 20 aprile, a San Siro, cominciano a far paura gli ex: Maxwell sulla fascia è un razzo che mette un cross che Ibra prova a deviare di tacco, marchio di casa, ma non ci riesce; poi l'ex blaugrana Eto'o impegna Valdes, che respinge in qualche modo, con Milito che non riesce ad approfittarne. Sempre ex, e se il più atteso di tutti, Ibrahimovic, latita, è ancora Maxwell a fuggire sulla fascia sinistra e a mettere in mezzo un pallone, che vaga in area di rigore fino al piattone di Pedro, che lo mette là dove Julio Cesar non può arrivare. Siamo alle solite? Il gol è la giusta scossa per questa squadra, che adesso prende le contromisure: lasciato Ibra alle cure, scomposte ma efficaci, di Lucio, sono i tre moschettieri Samuel, Cambiasso e Motta a far sì che Messi non veda mai lo specchio della porta, mentre all'utilissimo Sneijder spetta il compito arduo di ostacolare il cervello della squadra Xavi. Il Barcellona in questo modo non è annullato, perché i fortissimi uomini di Guardiola continuano a mantenere il possesso palla, ma esso risulta sterile, e anzi sono costretti a difendersi dagli attacchi del solito Milito. Che oggi è l'uomo della partita, ancor più del solito: è per evitare che lui batta a rete che ben tre uomini si parano davanti al Principe, una volta che questi ha ricevuto palla da Maicon. Ma non c'è problema per l'argentino, che infatti scarica il pallone nel buco venutosi a creare, dove ci si è buttato come un fiume in piena il solito Sneijder: 1-1 alla mezz'ora.
Poco dopo il via alla seconda frazione Pandev è già in percussione centrale in mezzo all'altissima difesa catalana, vede Milito scattare sul filo del fuorigioco e lo serve. Il Principe si trova però in posizione defilata, non il massimo per battere a rete: vede però che è arrivato a rimorchio Maicon, difensore noto per il suo non disdegnare la discesa in avanti e la ricerca del gol, che puntualmente arriva.
Una serata perfetta, da fabia verrebbe da dire. E, in una fiaba che si rispetti, può mai mancare il sigillo del Principe? Folle da immaginarsi solo un giorno prima, nella notte dei sogni nerazzurri in cui tutto è possibile arriva puntuale anche il colpo del 3-1, gol ovviamente di Milito, dopo un cross di Eto'o corretto dalla sponda di Sneijder. Il Barcellona è alle corde, ma ci prova ancora con Messi su punizione, con un monumentale Julio Cesar a rispondere, e con Piqué, sul quale interviene sulla linea in maniera quasi miracolosa Lucio.
Se la partita d'andata è coincisa col momento in cui l'Inter ha svolto bene il suo compito di battere il ferro finché è caldo, otto giorni dopo la partita del Camp Nou si prospetta come un vero e proprio parto per l'Inter, e doloroso alla stessa maniera per le coronarie dei tifosi. L'impianto di Barcellona è un'arena infernale, di quelle che solo le tifoserie latine sanno creare, alla ricerca della Remuntada. Il Barcellona parte subito fortissimo, con l'Inter che interpreta la partita con un atteggiamento molto italiano, occupandosi solo di coprire e chiudere gli spazi, richiamando al sacrificio ogni suo uomo.
Sacrificio che viene moltiplicato quando alla mezz'ora Thiago Motta tocca con la mano la faccia di Busquets, rimediando il cartellino rosso. A nulla valgono le proteste degli interisti, che colgono sul fatto il canterano mentre, con la faccia fra le mani, spia attraverso le dita la decisione presa dal direttore di gara De Bleeckere. Mourinho è una furia, ma ha pronta la contromossa, chiedendo un ulteriore sacrificio in fase di copertura proprio al grande protagonista della campagna acquisti estiva, il divo Samuel Eto'o. Che, sarà pure una prima donna, ma è anche un grande calciatore affamato di vittoria, e se per raggiungerla serve che, da centravanti puro (uno dei più efficaci d'Europa, a dirla tutta), si trasformi per 60 minuti in terzino, allora ben venga.
La partita di passione continua, e sugli scudi sale quello che è considerato uno dei migliori al mondo nel suo ruolo: il portiere Julio Cesar, che compie un autentico miracolo al 32' su Messi, che pure ha più difficoltà del solito, visto che sulla sua strada si trova lo storico capitano Javier Zanetti, che gli impedisce di spadroneggiare come fa di solito la Pulce. Gli attacchi dei blaugrana si fanno man mano sempre più rabbiosi, ma meno precisi, scoraggiati dalla linea Maginot eretta in Catalogna da Mourinho. E' solo un centravanti improvvisato, Gerard Piqué, a battere Julio Cesar, ma l'1-0 finale non basta, Inter in finale di Champions League, e Mourinho che, dopo una partita di passione, non riesce più a trattenere la gioia di aver battuto i campioni di tutto di Guardiola, e corre per il campo fino al settore ospiti, a prendersi l'abbraccio dei cinquemila fedelissimi che hanno seguito la squadra anche lì, nella tana del lupo dalla quale non avrebbero dovuto uscire vittoriosi.
L'atto finale: Intascato finalmente il biglietto per Madrid, non resta che aspettare la fatidica data del 22 maggio 2010, quella in cui si sarebbe decisa la cinquantacinquesima edizione della Champions League. L'ultimo ostacolo fra l'Inter, cui manca quella coppa dal lontano 1965, è una grande nobile del calcio europeo, il Bayern Monaco, allenato da Louis Van Gaal. Per numerosi fattori, quella finale è speciale per tutti: innanzitutto l'Inter non gioca una partita del genere dal 1972, quando trovò sulla sua strada il grande Ajax e il suo profeta, il grandissimo Johan Cruijff. Poi per ciò che può significare questa vittoria per entrambe le squadre: la stagione perfetta. I ragazzi di Mourinho hanno infatti già conquistato, rispettivamente il 5 e il 16 maggio, la Coppa Italia e il quinto scudetto di fila, titoli conquistati anche in Germania dai fortissimi bavaresi. Chi vince, quindi, completerà quello che viene chiamato triplete, ovvero la conquista di tutti i maggiori trofei disponibili, riuscito fino ad allora solo in cinque occasioni, al Celtic nel 1967 (anche qui, avversari degli scozzesi furono i nerazzurri), all'Ajax proprio nel 1972, al PSV nel 1988, al Manchester United nel 1999 (e questo i bavaresi se lo ricordano molto bene) e al Barcellona l'anno precedente.
Inter-Bayern Monaco vede inoltre riproporsi l'antica ma sempreverde scena dell'allievo che sfida il maestro, essendo stato Mourinho il vice proprio di Van Gaal al Barcellona dal 1997 al 2000. Infine, la partita ha un sapore speciale per due protagonisti in particolare: Sneijder per l'Inter e Robben per il Bayern. Avete presente la smobilitazione Real della scorsa estate? L'altra vittima illustre, oltre a Wes, è stata proprio l'altro olandese volante. E adesso sono entrambi a sfidarsi faccia a faccia, a giocarsi l'uno contro l'altro la conquista della coppa più ambita proprio al Santiago Bernabeu, teatro che era loro ma dal quale erano stati allontanati in nome di una sontuosa campagna di rafforzamento. E di dubbi che lo sia stata effettivamente, quella sera, ne vennero parecchi sia a tifosi che dirigenti dei galacticos.


Le due squadre si dispongono a specchio con lo stesso modulo, il 4-2-3-1: per l'Inter Julio Cesar fra i pali; Samuel e Lucio coppia difensiva, sulle fasce Maicon da una parte e Chivu dall'altra, con il capitano Zanetti spostato a centrocampo al fianco di Cambiasso in virtù della squalifica di Motta; pochi metri più avanti l'ago della bilancia Sneijder a far da spola fra il centrocampo e il tridente d'attacco Pandev. Eto'o e Milito. Il Bayern invece gioca con il vecchio portiere-rigorista Butt, linea difensiva composta da Lahm, Van Buyten, De Michelis e Badstuber; la coppia Van Bommel Schweinsteiger in mediana e il trio Robben, Muller e Altintop dietro a Olic. Arbitra l'inglese Webb.
Fin dall'inizio della partita, si vede chiaramente che l'Inter è stra-favorita, e i giocatori hanno negli occhi la determinazione giusta, quella che fa capire a tutti che, dopo l'impresa del Camp Nou, non permetteranno a niente e a nessuno di mettersi fra loro e la coppa. E l'Inter effettivamente gioca meglio, ma la prima occasione è bavarese, con Robben che discende sulla fascia e mette un bel pallone in mezzo, che però Muller non riesce a indirizzare in porta. Da lì in poi è solo Inter, con Sneijder che su punizione da lontanissimo impegna Butt. Al 35' scocca l'ora del Principe: il pallone lungo dalle retrovie viene smistato di testa dall'argentino verso Sneijder, che controlla giusto il tempo che Milito faccia il movimento necessario per superare la difesa e ricevere il filtrante dell'olandese. Milito riceve e, a tu per tu con il portiere tedesco, si inventa un tocco sotto che non lascia scampo: 1-0.
La coppia terribile prova nuovamente a far centro, con l'argentino a rifinire e a mettere Sneijder solo davanti alla porta: l'olandese però la colpisce al volo senza riuscire a piazzarla, e Butt si salva praticamente in bagher. Nella ripresa si prendono la scena i due portieri, e prima Julio Cesar chiude la porta in faccia a Muller, negando l'immortalità del gol a una bellissima azione corale dei bavaresi, poi Butt si supera in volo su Pandev. Robben, con un tiro a giro di sinistro dei suoi, prova a dare una scossa al match, ma ancora una volta un miracoloso Julio Cesar si supera. Lo squillo di tromba che Robben voleva emettere per guidare l'assedio dei suoi diventa poco dopo il suono delle fanfare al passaggio del Principe, il re della Champions. Eto'o gli deve solo servire il pallone sulla trequarti, poi fa tutto lui, mandando a gambe all'aria De Michelis e Badstuber e poi freddando ancora una volta Butt col suo destro.2-0 Inter: è solo il 70', ma in realtà la partita finisce lì, con Mourinho che concede l'ultima passerella della stagione anche alla bandiera Materazzi. Il triplice fischio di Webb serve solo a dare l'ufficialità ad una festa partita già da tempo sia a Madrid che a Milano, solo l'autorizzazione che serve agli undici calciatori nerazzurri per poter gioire come bambini: in particolare gioisce come un pazzo Zanetti, uno che è arrivato alla squadra di Moratti nel 1995, che ha visto per tanto tempo vincere "gli altri", nonostante i milioni investiti in fase di mercato da Moratti per portare in maglia nerazzurra campioni o presunti tali. La fine della partita è solo la certificazione per il condottiero Mourinho, anche lui in lacrime nonostante l'atteggiamento da duro che manifesta sempre in pubblico, di essere entrato nella storia: prima di lui solo Ernst Happel e Ottmar Hitzfeld erano riusciti a vincere la Champions League con due club differenti. Il fischio di Webb è anche la fine di un'era, per l'Inter e per il calcio italiano: Mourinho sarà il primo a lasciare Milano, proprio per tentare l'avventura di conquistare la decima del Real Madrid, in quello stadio che ancora adesso sente suo, più per quella notte di maggio a tinte nerazzurre che per il suo trascorso alle merengues. Dopo di lui lasceranno un po' tutti, per un motivo o per un altro, tanto che all'alba della stagione 2014-2015 nessun calciatore che ha conquistato il triplete veste più la maglia nerazzurra (nerazzurra? Ma questa è un'altra storia). Ma soprattutto, dal 22 maggio 2010 in poi nessun'altra squadra italiana è riuscita ad andare oltre i quarti di finale di Champions. Perciò, fino a nuove imprese che difficilmente sono scrutabili all'orizzonte, l'Inter di Mourinho, quella del triplete, sarà l'ultima delle italiane.
PER SAPERNE DI PIU':
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/24-02-2010/inter-chelsea-603108101709.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/16-03-2010/chelsea-inter-ultime-603327834988.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/31-03-2010/cc-603493528573.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/06-04-2010/sneijder-zar-russia-603556442619.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/20-04-2010/inter-notte-gloria-603714348837.shtml
http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Inter/28-04-2010/inter-difesa-eroica-603800058498.shtml
http://www.sportlive.it/calcio/inter-bayern-monaco-finale-champions-league-2010-risultato-tabellino-video-pagelle.html
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://goldensoccersignings.co.uk/wp-content/uploads/2014/03/Inter-Milan-UEFA-Champions-League-Winner1.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/a5/Jose_Mourinho_-_Inter_Mailand_%285%29.jpg/233px-Jose_Mourinho_-_Inter_Mailand_%285%29.jpg
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