Andres Escobar e il sogno diventato incubo

Una bella sorpresa degli ultimi Mondiali - anche se fino a un certo punto, visto che gli addetti ai lavori sapevano di trovarsi di fronte a una gran bella squadra - è stata certamente la Colombia. La squadra allenata da Pekerman, composta da un giusto mix di buonissimi giocatori e da fuoriclasse come Cuadrado e James Rodriguez (capocannoniere del torneo), ha espresso forse il più bel calcio dell'intera rassegna brasiliana, dominando il proprio girone e fermandosi solo ai quarti, contro i padroni di casa verdeoro. E chissà dove sarebbe arrivata quella squadra, se avesse avuto a disposizione il suo campionissimo Falcao...

Tuttavia, non è questa la nazionale che i colombiani definiscono la più forte in assoluto. Certo, direte voi: Rodriguez e compagni hanno giocato un bel calcio, ma non hanno vinto nulla. La risposta è : perché è vero che c'è una squadra vincente, quella che nel 2001 alzò al cielo la Copa America, ma non è quella la squadra a cui i tifosi dei Cafeteros si riferiscono quando pensano alla loro nazionale del cuore.
Il periodo più florido del calcio colombiano corrisponde, infatti, ai primissimi anni Novanta: in quel periodo una generazione fortissima di talenti (che questa però è sulla buona strada per eguagliare) si affacciò sulla scena calcistica internazionale, rendendo di fatto la Colombia la terza potenza calcistica sudamericana, dietro alla storica coppia Argentina-Brasile, ma davanti a una nazionale più blasonata come l'Uruguay. Anche allora, l'ossatura della squadra di mister Maturana era costituita da tanti buonissimi giocatori come gli "italiani" Tino Asprilla e Freddy Rincon, un portiere pittoresco e affascinante come Higuita; abbinati a un grandissimo campione di respiro internazionale come Carlos Valderrama. Poi c'era lui, il leader del reparto arretrato, una figura molto presente nelle nazionali sudamericane: l'Uruguay ha avuto Nasazzi e Obdulio Varela, l'Argentina Passarella, la Colombia risponde negli anni Novanta con Andres Escobar.

Escobar gioca come difensore centrale nell'Atletico Nacional, la squadra della sua città, Medellìn, nella quale nacque il 13 marzo 1967; squadra che anche grazie alle sue prestazioni si aggiudica la Copa Libertadores e contenderà fino all'ultimo la Coppa Intercontinentale al Milan, vittorioso soltanto ai supplementari. Proprio l'allenatore di quel Milan, Arrigo Sacchi, si innamora di Andres, e lo vorrebbe a Milano a far coppia con Baresi, poiché l'Atletico Nacional gioca in maniera praticamente identica ai rossoneri, e quindi Escobar sarebbe perfetto per i meccanismi di quel Milan, ma non se ne fece nulla. Nel frattempo però Andres si mette in luce anche con la nazionale, e lo fa proprio in Italia, quando ai Mondiali 1990 la sua squadra arriva fino agli ottavi, fermata dall'altra grande sorpresa del Mondiale, il Camerun. Altro giro altra corsa, e nel 1993 ci sono le qualificazioni per una nuova edizione della Coppa del mondo. E la Colombia continua a girare vorticosamente, come non aveva mai fatto, e con il suo fraseggio pazzesco manda in tilt gli avversari. Dominerà il proprio raggruppamento di qualificazione, e la classica ciliegina sulla torta viene messa il 5 settembre 1993, quando con un clamoroso 0-5 i Cafeteros si impongono al Monumental contro l'Argentina. Della partita, passata alla storia, dirà il grande scrittore Gabriel Garcia Marquez:

"Una volta mi hanno detto che in questo secolo ci sono stati tre soli grandi avvenimenti, in Colombia: lo scoppio de La Violencia nel 1948, la pubblicazione di 'Cent'anni di solitudine' nel 1967 e la sconfitta per 5-0 dell'Argentina per mano della nazionale colombiana nel 1993. E sapete qual è la cosa peggiore? Che è tutto vero"
Il cammino scoppiettante nel girone di qualificazione pone sotto gli occhi di tutti la nazionale di Maturana, e non solo Marquez, ma anche Pele scommette sulla vittoria finale dei Cafeteros. Grandi attese dunque sono riposte nella Colombia, che ai mondiali viene inserita nel Gruppo A con i padroni di casa, la Romania e la Svizzera. Passano le prime due di ogni girone e le quattro migliori fra le sei squadre terze classificate. All'esordio, il 18 giugno 1994 al Rose Bowl di Pasadena (che noi italiani ricordiamo benissimo...) a salire in cattedra però non è Valderrama, ma l'altra stella del match, Hagi, che manda per ben due volte in gol il centravanti Raducioiu e poi disegna col suo sinistro una parabola imprendibile, di quelle che solo un Maradona, pur se dei Carpazi, può inventare.
3-1 per i rumeni dunque (nel frattempo aveva accorciato le distanze Valencia), e la partita del 22 giugno contro gli USA è già decisiva. Rispetto alla prima partita, Maturana toglie Gomez e Valencia, ma poco cambia: i colombiani fisicamente sono messi malissimo, e la cappa d'umidità sotto la quale si gioca, a causa degli assurdi orari delle partite per favorire la visione in prima serata delle partite nel vecchio continente. L'afa fiacca il fisico, ma anche la mente, e quindi sono in un certo senso favoriti i cali di concentrazione, che a quei livelli possono essere decisivi. Così è: e al 35' dalla sinistra parte un cross dell'americano Harkes, col pallone diretto a fondo campo. La palla viene però deviata all'altezza del dischetto del rigore da un difensore, e va a finire in fondo al sacco: 1-0 USA, l'autorete è proprio dell'uomo simbolo, Andres Escobar.
La Colombia non si riprenderà, uscendo ancora una volta sconfitta, e a nulla valse la vittoria contro la Svizzera nella terza gara: la Colombia esce inaspettatamente al primo turno. Escobar è amareggiato, sa che il suo errore è stato decisivo in negativo, ma da vero leader ci mette la faccia, dichiarando a lettera aperta ai giornali colombiani la sua delusione per quell'errore.
Le sue parole, la sua amarezza, le sue scuse però non bastano: avete presente quando ho detto che Marquez e Pele hanno scommesso sulla Colombia campione? Non erano gli unici. Ingenti somme di denaro infatti furono scommesse sulla Colombia alla fase finale del torneo da tantissime persone, in particolare dai narcotrafficanti del cartello di Medellìn i quali, da poco orfani del loro signore, che guarda caso si chiama Pablo Escobar, hanno scommesso quei soldi per poterli riguadagnare, inguaiando gli allibratori, che erano quasi tutti controllati dai rivali del cartello di Calì, che dalla morte di Escobar stava cominciando a far la voce grossa sull'enorme giro di affari del narcotraffico. Ovviamente i loro piani sono andati a monte, vista l'eliminazione prematura della Colombia.
L'Escobar protagonista della storia, Andres, nel frattempo è tornato nella sua Medellìn, ma non è più lo stesso: da vero leader prima era sempre al centro dell'attenzione, carismatico, gioviale, adesso invece, come racconta la sua fidanzata, è sempre più chiuso in sé stesso, taciturno, intrattabile. E' lei stessa, la sera del 2 luglio, a convincerlo ad uscire, a distrarsi un po'. Lui segue il consiglio, e va al Padua, un locale del quartiere di Las Palmas, ma dopo un po' decide che non è stata una buona idea, ed esce per avviarsi a casa. Nel parcheggio dove ha lasciato la sua auto lo seguono alcuni uomini, che già all'interno del locale avevano iniziato a insultarlo per via dell'autogol, a rinfacciargli la perdita dei loro soldi a causa dell'eliminazione dal mondiale. Erano uomini del cartello di Medellìn, che non avevano alcuna intenzione di concludere la discussione, come invece desiderava Andres. O meglio, la discussione la chiusero, ma passarono ai fatti: uno di loro gli urlò contro un'ultima parola: "Gol!", e poi gli sparò dodici colpi di mitragliatrice. Non vi fu tempo per i soccorsi, e Andres Escobar morì per un autogol, la ragione più assurda che si possa mai immaginare, a 27 anni, pagando dazio a nome di tutti per quella eliminazione, perché lui ci mise la faccia, lui era il leader tecnico e carismatico di quella squadra. Talmente un leader che, da quella sera, nessuno voleva più indossare la "sua" maglia numero 2. Per regolamento FIFA però, all'alba dei Mondiali di Francia che si tennero quattro anni dopo, il numero 2 andava indossato obbligatoriamente: lo scelse un altro grandissimo difensore, e un altro leader: Ivan Ramiro Cordoba.

Se il calcio colombiano onorò, come era giusto che fosse, la sfortunata vittima di un gioco più grande di lui, il paese invece ebbe memoria colpevolmente corta: Humberto Munoz Castro, esecutore materiale del delitto inizialmente condannato a 43 anni di reclusione, dal 2005 è a piede libero dopo soli 11 anni di carcere, a causa di una sentenza controversa. E' così quindi che tutto viene quasi insabbiato, dimenticato, e anzi in un certo senso ne uscì condannato per sempre Andres Escobar, l'uomo morto tre volte: prima quando quel pallone superò il portiere Cordoba, poi quando i proiettili raggiunsero violentemente il suo petto, e infine nel 2005, quando venne definitivamente ucciso dalla "giustizia" della sua gente.

PER SAPERNE DI PIU':
http://www.storiedicalcio.altervista.org/andres-escobar.html
http://www.storiedicalcio.altervista.org/argentina-colombia-0-5.html
https://www.youtube.com/watch?v=RNhqD1YsjYw

SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://www.futbolred.com/contenido/mundial-brasil-2014/noticias/copadelmundobrasil2014/IMAGEN/IMAGEN-14119635-2.jpg
http://www.olimpiazzurra.com/wp-content/uploads/2014/05/escobar2333.jpg
https://www.youtube.com/watch?v=SwNhX2lj1Wk
https://www.youtube.com/watch?v=9vjN3-OUUck
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Escobar_autogol_1994_c.jpg
http://www.storie.it/wp-content/uploads/2013/07/andres-escobar3.jpg

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