<<¿De qué planeta viniste?>> Maradona e il gol del secolo

Per antonomasia, il momento più atteso in una partita di calcio è il gol. Tutti noi sogniamo che la nostra squadra ne realizzi uno, e che non lo segnino i nostri avversari. Ma anche noi quando giochiamo, seppur in partite fra amici che hanno scarso valore, se non quello genuinamente agonistico di godersi la vittoria, speriamo di far gol. E ci sono modi particolari di far gol che stuzzicano da sempre la nostra fantasia.
Non la pensava diversamente da noi un bambino che giocava a calcio coi suoi amici per le strade strette e sconnesse di Villa Fiorito, quartiere popolare della grande metropoli argentina, capitale del Paese, Buenos Aires.
Questo bambino, proveniente da una famiglia numerosa e non ricca, aveva come unico passatempo quello di giocare a calcio, muovendosi con un'agilità incredibile fra gli strettissimi spazi che aveva a disposizione, e portandosi sempre appresso il pallone che, come un innamorato fa verso la persona amata, non si stacca mai dal suo piede sinistro, che sembra faccia continuamente l'amore con la sfera di cuoio (seh, di cuoio... il più delle volte si tratta di un pallone di fortuna fatto con degli stracci, ma poco cambiava).
Non sapeva, quel bambino, che il passaparola dei vicoli aveva portato parecchie persone a conoscenza delle sue incredibili qualità funamboliche con il pallone: giunge voce di questo bambino-fenomeno della Villa anche a Pipo Mancera, il più noto presentatore TV d'Argentina nei primi anni settanta. Mancera conduceva un programma che faceva TV verità: andava in giro per le periferie del paese a riprendere delle storie di vita quotidiana, e a dar voce a quella povera gente. Nella sua trasmissione, Mancera dapprima riprende questo bambino, Diego, mentre palleggia in uno spiazzo; poi lo chiama e lo intervista. Le sue dichiarazioni sono scarne, semplici, ma sincere e dirette: “Mis sueños son dos: mi primer sueño es jugar en el Mundial; y el segundo es salir campeón”.


Diego, che di cognome fa Maradona, omette però una cosa, che magari non dice per non sembrare presuntuoso, o forse banale: segnare un gol decisivo per il Mondiale. Ma non un gol qualsiasi, un gol unico, di quelli che tutti avrebbero guardato e riguardato.
Lasciamo il bambino, e saltiamo di qualche anno in avanti nella nostra storia. Nel 1986 quel bambino è un uomo di 25 anni e si trova in Messico, dove si disputano i Mondiali. Sogno numero uno realizzato, manca il secondo sogno del bambino Diego, quello di vincere. La squadra di Bilardo non è affatto nel novero delle favorite, tutt'altro: gli stessi argentini ripongono poche speranze in quel gruppo, di qualità decisamente scarsa, salvando la pace di Jorge Valdano e, appunto di Diego. Che però di talento ne ha da vendere, come si vedeva già a Villa Fiorito. E in Messico succede un qualcosa di mai visto su un campo di calcio: finora abbiamo visto che il calcio è uno sport di squadra, e che i campioni da soli non bastano, ma essi devono essere supportati da un grande gruppo, e da una precisa e determinata organizzazione di gioco. In Messico, quell'anno, tutto questo va a farsi benedire: l'Argentina non è un gruppo fortissimo, non gioca un calcio spumeggiante, ma ha Diego, uno che non sa cosa sia la paura, che vive principalmente dei suoi istinti. E Maradona basta e avanza da solo. Non è solo il migliore di tutti, è anche un leader dal carisma eccezionale, uno che spinge i suoi compagni a dare di più di quanto effettivamente ne abbiano.
E quell'Argentina quindi va: nel girone A chiude prima, davanti ai campioni del mondo in carica dell'Italia, alla Bulgaria e alla Corea del Sud. Poi ci sono gli ottavi, dove col minimo sforzo si ottiene il massimo risultato, approdando ai quarti ai danni dell'Uruguay. Per ironia della sorte, il 22 giugno a Città del Messico, nello storico Estadio Azteca, ad affrontare l'Argentina sarà l'Inghilterra.
Tutto il mondo sa che quella non è una partita normale: troppi avvenimenti contornano quella che in teoria è solo una partita di calcio fra due selezioni nazionali a un campionato mondiale: è la partita che tutti gli argentini sognavano, una partita che ha il sapore della vendetta.
Basterebbe limitarsi all'ambito prettamente calcistico per capire perché gli argentini ce l'abbiano con gli inglesi: le due squadre si sono già scontrate ai quarti di finale della Coppa del mondo di vent'anni prima, a Wembley, nella partita che gli argentini ricordano come quella del Robo del siglo, il furto del secolo. L'arbitro tedesco Kreitlein rese le cose più semplici ai padroni di casa, usando i cartellini solo per i calciatori dell'Albiceleste: prima ammonì Perfumo, Solari ed Artime, dopodiché espulse senza ragione (o, a detta dello stesso fischietto teutonico, "perché non gli piaceva l'espressione della sua faccia") il capitano Rattin, mentre l'inglese Nobby Stiles faceva il bello e il cattivo tempo senza esser mai richiamato dal direttore di gara. Non solo: dopo la partita il c.t. inglese Ramsey si avventò su un suo giocatore per impedirgli di scambiare la maglia con un argentino, che lui chiama pubblicamente Animals. Ma questo è niente: uno preso dall'agonismo dice un po' di tutto, ma poi gli passa; questo gli argentini lo sanno. L'Argentina intera ce l'ha con gli inglesi per altro, che col calcio purtroppo non ha nulla a che fare.
Bisogna fare un salto nel passato, nel 1982: un giorno di Aprile moltissimi argentini vengono richiamati improvvisamente in caserma. Perché? Perché, come un fulmine a ciel sereno, è giunta la guerra: il capo del governo Leopoldo Galtieri, un generale come il suo predecessore Videla, punta sul nazionalismo per allontanare da sé il malcontento della popolazione che soffre per la crisi economica che attanaglia il Paese, e occupa militarmente l'arcipelago delle Malvinas, che il mondo conosce soprattutto con il nome di Falkland. Un nome che poco ha a che fare con la lingua di Cervantes, visto che quel nome è di marca britannica: le Malvinas/Falkland sono infatti un arcipelago fatto di piccole isole al largo della costa argentina, non lontane dall'Antartide, che dal lontano 1839 sono possedimento della Corona britannica.
Nonostante le Falkland si trovassero da tutt'altra parte del mondo, e fossero quasi insignificanti per i discendenti di Shakespeare, dalla Gran Bretagna non restarono a guardare e il primo ministro inglese, l'Iron Lady Margaret Thatcher, rispose con una task force per difendere quegli scogli così lontani da Londra. Le forze britanniche, dopo un iniziale periodo di organizzazione, ebbero la meglio in virtù di una maggiore ricchezza di risorse e di mezzi, che gli argentini non potevano in alcun modo pareggiare: le Falkland quindi rimasero britanniche, e all'Argentina non restò che piangere i suoi 649 morti e 1068 feriti (secondo le stime ufficiali). Si diceva che sulle coste del Paese sudamericano si sentisse il rumore dei morti che dal mare arrivavano a riva, trascinati dalla corrente dell'oceano.
Questo tipo di partite, più delle altre, sono le partite di Maradona: partite ricche di motivazioni, che lo caricano a mille, trasformandolo da grandissimo calciatore quale già è al giocatore più decisivo della storia del calcio. Lui si carica di tutte le aspettative, di tutti i desideri della sua nazione, che vuole sconfiggere gli inglesi, e tutti questi sentimenti li riversa integralmente sul campo. Sono questi a far pendere la bilancia sempre e comunque dalla sua parte.
L'undici che Bilardo schierò contro l'Inghilterra: Pumpido, Cuciuffo, Brown, Ruggeri, Olartico-
echea, Batista, Giusti, Burruchaga, Enrique, Valdano, Maradona (c).
Alle ore 12:00 di Città del Messico l'arbitro tunisino Bennaceur fischia l'inizio del quarto di finale più atteso, numeri alla mano: all'Azteca sono presenti 115000 spettatori, gli altri quarti di finale hanno registrato circa la metà delle presenze.
La partita, inizialmente, delude tutti: è bloccatissima su uno 0-0 dal quale sembra non esserci via di scampo, soprattutto per quei mediocri argentini, che non hanno un collettivo forte, non praticano il calcio totale. Ma chi se ne frega del calcio totale, se la maglia albiceleste numero 10 è indossata da Diego Armando Maradona? Lui c'è, è in campo, all'Azteca, teatro non banale in cui si disputò, sedici anni prima, la Partita del Secolo, e il sole di mezzogiorno sembra quasi un riflettore che punta solo l'ospite d'onore, che è proprio lui. Sembra quasi dire ai calciatori argentini "dategli un pallone, e la mia luce immortalerà per sempre le sue gesta".
Disegno che rappresenta il gol dell'1-0
dell'Argentina, noto come La mano de
Dios.
E il pallone gli arriva: è un campanile sporco che l'inglese Hodge ha alzato in area, senza pretesa alcuna, ma a Maradona basta quello per realizzare l'antipasto del suo sogno non rivelato a Mancera. Su quel pallone sta andando l'esperto portiere Shilton per compiere un'uscita semplicissima, come ne avrà fatte a milioni nella sua carriera. Ma Maradona è in agguato, e usa le sue gambe forti e ben piantate a terra, che gli consentono di essere difficilissimo da affrontare fisicamente nonostante gli esili 165 cm che gli ha dato in dote madre natura, per staccare verso il colpo di testa, con Shilton già in aria per la presa con le mani. Ha una sua particolare aerodinamicità nel salto Diego, che porta l'osservatore quasi a identificarlo come un tutt'uno, a non accorgersi se lui, prima della testa, ci mette un pugno per colpire il pallone. Diego lo fa, e quasi non se ne accorge nemmeno Shilton, e non se ne accorge la terna arbitrale e nessuno dei 115000 dell'Azteca. Gol, realizzato "un poco con la cabeza de Maradona, y otro poco con la mano de Dios", 1-0 per l'Argentina.
Ma il meglio deve ancora venire, perché siamo arrivati al momento cruciale di tutto il campionato mondiale 1986: al minuto 54 il pallone è fra i piedi di Enrique, che vede Maradona e ovviamente gliela passa. Diego è a settanta metri dalla porta inglese, ma la vede bene, e sa perfettamente cosa fare. Lo sa perché quello che sta per mettere in pratica lo provò già il 13 maggio 1980, a Wembley, proprio contro gli inglesi: il diciannovenne Diego riceve palla sulla trequarti, la comincia ad accarezzare come solo il suo piede sinistro sa fare, e avanza, incuneandosi fra quattro maglie inglesi; arrivato davanti alla porta il portiere inglese (che quella sera è Clemence, non Shilton) esce, ma Diego lo anticipa toccando il pallone con l'esterno: due centimetri fanno perdere a quella giocata l'immortalità della rete.

Al ritorno a casa il fratello di Diego, Hugo, che pure gioca a calcio (o perlomeno ci prova: purtroppo per lui il talento per il football a casa Maradona se l'è preso tutto Diego) gli dice: "Perché non hai saltato anche il portiere? Avevi il tempo per farlo: spostavi la palla e poi avevi tutto lo specchio della porta a disposizione!".
A Diego ritorna in mente sei anni dopo quel consiglio, quando ha già toccato per nove volte il pallone dopo il passaggio di Enrique, e nel farlo ha percorso sessanta metri in dieci secondi, saltando anche cinque calciatori di Sua Maestà, mentre sta guardando negli occhi Peter Shilton, che sta uscendo su di lui come fece Clemence a Wembley. Questa volta Diego non si fa prendere dalla frenesia, il suo ego si è accresciuto in modo tale da sapere che può ulteriormente umiliare il portiere inglese, quindi sposta il pallone verso l'interno, in anticipo su Shilton, e lo salta nettamente, prima di depositare finalmente il pallone in rete.
E' un gol storico, bellissimo, incredibile, il gol che ogni bambino sogna di realizzare. Maradona in quel momento è il catalizzatore dei sogni di ogni bambino che gioca a calcio, è parafulmine di tutte le emozioni degli argentini, è il mezzo tramite il quale il popolo manifesta finalmente il suo orgoglio, l'unica cosa rimastagli dopo anni di dittature, sangue, crisi economiche e diritti umani negati. Tutto questo lo avvertiamo dalla telecronaca che fa, per la TV argentina, Victor Hugo Morales, che pure non è argentino, ma è perfetto nell'accompagnare quella "recorrida memorable", a farci provare tutte le emozioni degli argentini che avevano contagiato pure un uruguagio come lui.
La storia ci dice che la partita finì 2-1, ma quel gol è assolutamente inutile, e serve solo a Gary Lineker per laurearsi re del gol in Messico. In realtà la partita è finita con quella rete, votata a furor di popolo nel 2002 il gol del secolo, che non poteva essere realizzato altrove se non nella cornice dell'Azteca. Un gol che significò tutto per gli argentini, che finalmente ebbero la loro rivalsa sugli inglesi. E allora si comprende perché gli argentini, che ne hanno avuti e ne avranno ancora di grandissimi calciatori, abbiano un amore viscerale per quel riccioluto bassino che sa tanto di guapo, di capopopolo che guida i suoi alla rivoluzione, pur nella sua imperfezione e nei suoi errori. E allora capiamo cosa spinse uno street-artist a realizzare, sui muri di Buenos Aires, capitale e cuore dell'Argentina, questo graffito.

PER SAPERNE DI PIU':
http://www.gonews.it/2014/06/06/antonio-rattin-alle-origini-della-mano-di-dio/
https://www.youtube.com/watch?v=ckdrxTWmoSQ
http://www.storiedicalcio.altervista.org/01_mondiali_calcio_1986.html
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=NeN8DFTfyb0
http://static.guim.co.uk/sys-images/Football/Pix/pictures/2008/11/13/1226600258200/Carlos-Bilardo-and-Diego--001.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/ee/Falkland_Islands_topographic_map-it.svg/800px-Falkland_Islands_topographic_map-it.svg.png
http://zonamixta.files.wordpress.com/2009/01/argentina1986.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cf/Maradona-MDD.svg/220px-Maradona-MDD.svg.png
https://www.youtube.com/watch?v=IUyy4aSInK8
https://www.youtube.com/watch?v=DVzns_b7akM
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/65/Maradona_-_grafiti.jpg/220px-Maradona_-_grafiti.jpg

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