Il pomeriggio di gloria di Francesco Toldo

Era dal post su Euro 2004 che avevo in mente qualcosa del genere: possibile che, della gloriosa e ultracentenaria storia della Nazionale Italiana di calcio (iniziata battendo con un secco 6-2 i cugini francesi a Milano il 15 maggio 1910) io avessi parlato solo dei suoi capitoli più bui? Lì quindi nacque la voglia di raccontare almeno un grande momento di gloria degli azzurri. Alla fine ho scelto questo: non una finale mondiale, e nemmeno l'immortale 4-3 dell'Azteca (conoscendomi, sicuramente non mancherà occasione per parlarne!), ma ho preferito raccontare un momento che, a quel tempo, mi esaltò davvero tantissimo. Inoltre l'ho scelto anche per un motivo affettivo: questa partita è stata forse quella che mi ha definitivamente iniziato al calcio, e da quel 29 giugno 2000 ho cominciato a seguire in maniera spasmodica questo sport.
Quel pomeriggio, oltre all'amore per il calcio, quella partita mi regalò un nuovo idolo, da affiancare a quelli che già avevo, visto che anche prima di quel pomeriggio il pallone aveva saputo già ammaliarmi. I miei idoli erano (e penso che questo valga per quasi tutti quelli che seguivano il calcio in quegli anni) Ronaldo e Roberto Baggio. Questo nuovo idolo però era decisamente diverso dai primi due: loro infiammavano le folle, facendole esaltare e sognare coi loro gol e col loro modo unico di accarezzare il pallone, e fare ciò che volevano con quella sfera di cuoio; il mio nuovo idolo invece, Francesco Toldo da Padova, era in un certo senso l'anti-spettacolo, facendo di mestiere il portiere.

Quando ero piccolo e capitava, giocando coi miei amici, di dover andare in porta, lo vedevo come una punizione, o forse la certificazione che ero troppo scarso per giocare a pallone. L'autostima dell'io portiere è decisamente aumentata quando ho visto che i portieri non sono affatto i più scarsi e inutili della squadra, ma anzi sono dei giganti (i 196 cm di Toldo si notavano benissimo anche in TV) agilissimi che hanno la responsabilità di tutta la squadra sulle spalle. Eppure, non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea del portiere come guastafeste, come la vecchia che si affaccia dal balcone e ti grida contro perché sotto al suo palazzo non puoi giocare. Quel pomeriggio invece non Del Piero, non Totti, e nemmeno Del Vecchio, Inzaghi e Fiore (davvero ottimo durante quegli europei) mi esaltarono: la scena se la prese tutta lui, il portiere Francesco Toldo.
Toldo era uno che si trovava lì per caso: era un ottimo portiere beninteso, uno dei migliori nel panorama della Serie A, che si è sempre distinto dovunque abbia giocato: prima nelle giovanili del Milan, poi al Trento in C2, poi al Ravenna in C1 dove conquista la promozione in Serie B, poi dal 1993 alla Fiorentina dove, prima in Serie B (solo per un anno, immediata promozione per i viola) poi in Serie A e in Champions League sarà sempre protagonista. Addirittura all'Europeo del 2000 si presenta fresco di un terzo posto conquistato l'anno precedente e di una Coppa Italia vinta coi suoi viola proprio un mesetto prima di partire per il Belgio e l'Olanda, dove si sarebbe appunto disputato l'Europeo. Solo che a Toldo questo può non bastare per essere in campo a difendere i pali della Nazionale allenata da Dino Zoff, suo c.t. ma prima suo esimio collega. Perché quello del portiere è un ruolo parecchio esigente: non conta essere bravo per giocare, come lo era Toldo. Per giocare, dato che è un ruolo unico (ovviamente c'è un solo portiere in campo per ogni squadra) oltre che di altissima responsabilità, devi essere necessariamente il più bravo, senza se e senza ma. E Toldo sembra non esserlo mai, e nonostante le prestazioni di altissimo livello in maglia viola, i c.t. che si avvicendano negli anni dal suo esordio in Nazionale maggiore (Sacchi, Maldini, Zoff e, dopo l'Europeo 2000, anche Trapattoni) trovano sempre uno migliore di lui, che sia Peruzzi, Pagliuca o un giovane Buffon (parere mio personale e quindi opinabilissimo: solo quest'ultimo nei suoi anni d'oro, ovvero nel periodo 2004-2012, lo reputo superiore al Toldo di quegli anni) poco cambia per Francesco, che in Nazionale c'è sempre, ma è o il dodicesimo uomo come a Euro 1996, se non addirittura terzo portiere come ai mondiali di Francia '98. E' il secondo di Buffon anche nei piani di Dino Zoff per Euro 2000, ma il destino imperscrutabile decide che è il momento di Toldo: frattura della mano per Gigi, che non parte per i Paesi Bassi, al suo posto viene chiamato in fretta e furia Abbiati. Ma né lui, né Antonioli sono più bravi di Toldo, e quindi l'11 giugno 2000, per l'esordio dell'Italia contro la Turchia di scena ad Arnhem, c'è di diritto lui, Toldo con la sua maglietta grigia col numero 12 sulle spalle.
   Italia in partenza per Euro 2000: c'è anche Buffon, inizialmen-
   te titolare prima dell'infortunio che lo ha costretto al forfait       

Toldo adesso è sicuro del posto, e dopo aver tanto sudato per ottenerlo, dimostra di meritarlo ampiamente, e non solo per defezioni altrui: anche grazie alle sue parate l'Italia conclude il suo girone a punteggio pieno, davanti alla Turchia, al Belgio padrone di casa e alla sempre temibile Svezia; dopodiché elimina con un secco 2-0 anche la Romania, approdando alle semifinali.
Siamo finalmente arrivati alle ore 18:00 del 29 giugno 2000: all'Amsterdam Arena, casa dell'Ajax, ci aspetta l'Olanda. Anche gli oranje di Rijkaard (vecchia conoscenza del calcio italiano) hanno dominato il loro raggruppamento, mettendo in fila dietro di sé la Francia, la Repubblica Ceca e la Danimarca, e hanno poi spazzato via con una goleada (6-1) la Jugoslavia, che manteneva ancora questo nome anche se ormai della Jugoslavia non era rimasto più nulla. I tulipani hanno una squadra molto forte e in salute che gioca anche molto bene a calcio, nettamente favorita per la vittoria finale; in più sono padroni di casa, e quindi spinti da un pubblico calorosissimo.
L'undici anti-Olanda: nella fila in alto da sinistra a destra Maldini, Iuliano, Fio-
re, Inzaghi, Nesta, Toldo; nella fila in basso da sinistra a destra Zambrotta, Can-
navaro, Di Biagio, Del Piero, Albertini.
Pronti via ed è subito Olanda: Bergkamp, gran calciatore all'Arsenal ma fenomeno parastatale della Gialappa's durante i suoi trascorsi all'Inter, è letteralmente una furia, e prova a sfondare centralmente, dove però l'Italia regge bene, e a parte un palo clamoroso colpito al 14', non fa molto altro. Il gioco quindi si sposta sulle fasce, e se dopo una prima fase di studio il capitano Maldini mette la museruola ad Overmars, sul lato sinistro del campo Zambrotta soffre terribilmente sia l'arrembante Zenden, sia le continue sovrapposizioni di Van Bronckhorst; e questa sofferenza costringe il nostro tornante per ben due volte, al 15' e al 34', ad abbattere Zenden con le cattive, lasciando in dieci la sua squadra alla mezz'ora. Ma non è di lui che la storia ha bisogno per sublimarsi, l'uomo del destino non corre sulla fascia: come già detto fa il portiere, e sta per prendersi tutti i riflettori del stadio che fu di Cruijff.
Perché quattro minuti dopo il rosso esibito a Zambrotta, l'arbitro tedesco Merk prende un'altra decisione cruciale per l'andamento del match, fischiando un calcio di rigore per l'Olanda in seguito a un fallo di Nesta su Kluivert. Il rigore è un momento particolare del calcio, di quelli topici che hanno ispirato tutta la letteratura di questo sport (vi consiglio in particolare Il rigore più lungo del mondo di Osvaldo Soriano). Di certo ci sono solo un paio di cose: l'attaccante è avvantaggiato - e in maniera netta - nel pratico, poiché la possibilità di tirare praticamente indisturbati da undici metri con il solo portiere a opporsi si tramuta in gol nel 95 % dei casi; ma psicologicamente è avvantaggiato il portiere. Lui, infatti, non ha assolutamente nulla da perdere: prendere gol su rigore è assolutamente normale, un portiere può farci relativamente poco, mentre per il tiratore un errore non è perdonabile. Il rigore - lessi una volta da qualche parte - è mettere sé stessi nell'impossibilità di fallire. Questo lo sapevano bene sia Toldo sia Frank De Boer, rigorista nonché capitano degli oranje. E difatti si apprestano al duello in maniera diversa: Francesco è sereno, sa che deve fare del suo massimo, ma che il suo massimo può non bastare, e quindi anche se il pallone finirà nel sacco la colpa non sarà sua; Frank invece è tesissimo, sa che non esistono alternative, deve buttare quel pallone in porta e portare l'Olanda in vantaggio. Merk fischia, rincorsa breve per De Boer che tira col sinistro non troppo forte e rasoterra; Toldo è a un bivio, e deve scegliere dove buttarsi, e sceglie bene: le sue manone finiscono sulla palla, fermando la sua corsa verso la rete.

Il primo tempo si trascina, dopo quest'episodio, in maniera stanca, e lascia presto spazio alla seconda frazione, che comincia come era finita la prima: gli olandesi, pur se più stanchi e scossi dalla ghiottissima occasione non capitalizzata, continuano la loro partita di tiro al bersaglio, ma Toldo è superbo a non farlo mai centrare.  Appena superata l'ora di gioco, e con attaccanti ormai spompati (Bergkamp) o neutralizzati (un monumentale Nesta fa tornare Kluivert quel giocatore orrido del suo anno milanista), ci pensa un centrocampista che come molti suoi compagni bazzica la Serie A, Edgar Davids, a dare un'altra scossa al match: il Pittbull accelera e supera in velocità Iuliano, che ingenuamente lo atterra: di nuovo calcio di rigore.
Questa volta De Boer non ne vuole proprio sapere, e infatti dal dischetto si presenta Patrick Kluivert, assolutamente inoperoso quel pomeriggio, ma che magari dal dischetto può sbloccarsi, lui come anche l'Olanda. Non ricordo sia mai successo che un portiere pari addirittura due calci di rigore nella stessa partita, a distanza di massimo mezz'ora l'uno dall'altro. Se anche fosse successo, è una cosa praticamente irripetibile: difatti non si ripete, e Toldo si butta sulla sua sinistra, in direzione diametralmente opposta al pallone calciato in maniera potente e secca da Kluivert; pallone che però termina la sua corsa infrangendosi sul palo, ed è ancora zero a zero. Infondo si sa, gli eroi sono belli, forti e dotati di talento, ma hanno anche la dea bendata a sostenerli, e un po' di fortuna non guasta di certo. 
A questo punto la partita perde di brio, e gli attacchi degli oranje sono sempre meno convinti, tanto che Totti (entrato al posto di un Fiore fuori fase) dalla sinistra crea sempre più grattacapi agli stanchi difensori olandesi, e allo scadere gli azzurri hanno l'ultimo match-ball dei tempi regolamentari, ma Del Vecchio (subentrato nella ripresa ad Inzaghi) spara addosso a Van Der Sar.
Supplementari, dunque, nei quali però la partita perde di frizzantezza: i calciatori infatti sono stanchi, le gambe non rispondono più, e su tutti prevale la paura a non scoprirsi troppo. E' infatti entrata in vigore l'assurda regola del golden golchi segna vince, se subisci gol non puoi più tentare di recuperare. Una regola che ben presto sostituiranno, quando qualche mente illuminata farà capire che proprio il fatto di poter sempre recuperare fino all'ultimo secondo è il sale dello sport, e del calcio in particolare. Gli unici che almeno ci provano sono i più freschi, quelli entrati a partita in corso: ancora Van Der Sar con i piedi nega la gioia del gol a Del Vecchio, mentre per gli oranje è Seedorf al 24' minuto dei supplementari a mettere paura agli azzurri, ma è impreciso e il pallone va fuori. Gli olandesi, nonostante le abbiano provate tutte, sono costretti ai tiri di rigore.
Ricordo bene l'atmosfera che si respirava quel giugno nell'audience che seguiva con me la partita, quando ci si apprestava a vivere la fine della partita, laddove il pareggio non sarebbe potuto più perdurare: non ero a casa quel pomeriggio, ma in parrocchia, dove si teneva l'oratorio estivo per tutti i bambini e ragazzi della parrocchia, e al termine della giornata di giochi avremmo visto tutti insieme Italia-Olanda. C'erano ragazzi più grandi di me, e anche qualche adulto, oltre al parroco, a vedere la partita; e al momento dei tiri di rigore cominciavano letteralmente a tremare. E come dargli torto? Loro ricordavano bene come quello fra la Nazionale italiana e i tiri di rigore fosse un rapporto non facile, per usare un eufemismo. Oppure, non usandolo, una maledizione in piena regola: a partire dagli europei del lontano 1980, passando poi per le ultime tre edizioni della coppa del mondo, troppe volte il cammino dell'Italia si era interrotto in questa maniera beffarda. Io però ero tranquillo: il mio nuovo idolo, Francesco Toldo da Padova, è in campo; e tanto mi basta come garanzia che i rigori, questa volta, avrebbero fatto fuori loro, quei fortissimi olandesi che hanno giocato meglio di noi, ma non ci hanno battuto perché noi abbiamo lui.


Si parte, dunque: tirano per primi gli azzurri, ed è Di Biagio che posiziona quel pallone per calciarlo. Avete presente il terrore che c'era prima in sala? Adesso, se possibile, è triplicato. Doveva essere terrorizzato anche lui, penso, perché l'immagine che passò davanti agli occhi di tutti in parrocchia, lui l'avrà avuta davanti agli occhi almeno un migliaio di volte; e forse anche adesso che allena la Nazionale Under 21 ce l'ha ben presente, magari mentre spiega ai suoi ragazzi che in quei momenti non bisogna farsi prendere dal panico. Ha imparato a non farlo proprio l'estate del 1998, quando quella dannata paura di sbagliare gli ha fatto stampare sulla traversa il pallone più importante della sua carriera, il rigore che fece scendere l'Italia dalla giostra dei mondiali a vantaggio dei francesi futuri campioni del mondo. Questa volta però è diverso, e al dischetto si presenta con la tranquillità che tanto il peggio ormai è passato, e con la determinazione di chi sa il peggio come è fatto e non lo vuole rivivere. Il suo rigore è perfetto e spiazza Van Der Sar, Italia avanti.
Tocca a loro adesso, questa volta De Boer si ripresenta davanti a Toldo, ha voglia di rivalsa contro quello spilungone che gli ha neutralizzato il tiro nel primo tempo, e li ha costretti lì in bilico, dopo una partita dominata. Ma lui non è uno che ha gli attributi come Di Biagio, o forse a differenza di Gigi non ha avuto il tempo di metabolizzare: in Frank De Boer alberga ancora la paura di fallire, mentre Toldo è una sfinge, come quella alle piramidi di Cheope, che nemmeno tremila e più anni hanno saputo scalfire. E la paura cresce sempre di più, fino a giungere al culmine nel momento della battuta: ne esce fuori un tiraccio centrale, il più facile della vita di Toldo.


Esultiamo tutti, qui in parrocchia, e cominciamo ad avere fiducia, ed è con entusiasmo che adesso seguiamo la rincorsa di Pessotto, uno che a differenza dei primi due non ha fantasmi da scacciare: arriveranno poi i suoi fantasmi, ancor più terrificanti di un errore dal dischetto, che quasi lo porteranno via... Ma adesso non è a Torino, al suo ufficio nella sede della Juventus, adesso è ad Amsterdam a battere un tiro di rigore contro il suo compagno bianconero Van Der Sar. E qui Gianluca non sbaglia, spiazzando completamente il portiere oranje, 2-0.
Adesso tocca a Jaap Stam: Stam è uno di quelli che, a vederli in TV, mi faceva paura, figuriamoci agli attaccanti che lo affrontavano. Adesso, che quando gioco con gli amici occupo proprio la sua stessa posizione in campo, per me è un modello da seguire, un difensore davvero forte e affidabile, difficilissimo da superare. Se sapesse calciare i rigori con la stessa qualità con cui marca un avversario e lo contrasta, non solo per Toldo, ma nemmeno per Superman ci sarebbe scampo.

Fortunatamente non è così, e il suo più che un rigore sembra piuttosto il drop di Joel Stransky che consegnò la Coppa del mondo di rugby agli Springboks: ancora 2-0 Italia.
Adesso la lotteria dei rigori si sta mettendo davvero bene per noi, quasi increduli del risultato che sta maturando. Il terzo rigore lo batte Totti, ed è il rigore più famoso della storia azzurra, quel cucchiaio che sa di beffa nei confronti di quei fortissimi olandesi.
Olandesi che adesso sono alle strette, devono segnare per forza, e per questo puntano sulla voglia di riscatto del loro centravanti Kluivert. "Non può mica piovere per sempre" penseranno sia lui che i suoi connazionali: così è infatti, e per la prima volta Toldo viene battuto.
L'entusiasmo è alle stelle nel salone parrocchiale e dovunque ci sia un televisore in Italia, quando il nostro capitano Maldini va a battere quello che potrebbe essere il match-ball. Solo che quel pomeriggio non c'è gloria per chi indossa la fascia di capitano, e Maldini emula De Boer, calciando in maniera fiacca il rigore, facilmente neutralizzato da Van Der Sar.
"Ecco, ci risiamo!" qualcuno comincia a borbottare in sala: io però non ci bado, questa partita l'abbiamo già vinta, e quel rigore è stato un errore di passaggio, ma non è stato casuale. Chi deve materialmente portarci in trionfo non è il capitano, è quello lì con la maglia grigia numero dodici che si sta risistemando fra i pali. E allora non mi interessa nemmeno chi è che viene a sfidarlo in singolar tenzone, non mi curo proprio di chi sia questo Bosvelt che sta per tirare: ho occhi solo per vedere come Toldo toglierà anche questa castagna dal fuoco e ci porterà finalmente a vincere.


Perché questo è il suo pomeriggio di gloria, e nulla può andare storto: era scritto nel destino che Bosvelt tirasse alla destra di Toldo, proprio dove il nostro portiere si sarebbe tuffato per mettere le sue mani su quel pallone, quasi a mettere ancora una volta il suo personalissimo timbro su quella grandissima vittoria. Una vittoria di cuore oltre l'ostacolo, di lotta, ma soprattutto di nervi, un po' come lo fu nel 1974 The Rumble in the Jungle, Foreman contro Alì. Gli olandesi potevano colpire come e quanto volevano, fare la migliore partita possibile, ma non l'avrebbero spuntata: come scrisse poi il Corriere l'indomani "Da una parte il gioco, dall'altra Toldo". Una vittoria operaia, non data dal colpo di genio di un piede sopraffino, ma dalle manone ricoperte da guanti di uno che non avrebbe dovuto nemmeno essere lì, ma che ha lottato per esserci, e una volta lì ha messo bene in chiaro una cosa: che il migliore di tutti era proprio lui, e guai a metterlo in dubbio. E anche se poi Toldo dopo quel magnifico europeo tornerà ad essere solo il secondo portiere, resterà per sempre un idolo per tutti coloro che hanno seguito la Nazionale nella prima estate del nuovo millennio, colui che con le sue parate ci ha portato in finale a quegli europei, regalandoci in quel pomeriggio un grandissimo momento di gloria.





SITOGRAFIA IMMAGINI:
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