Un artista berbero

1 luglio 2006, Waldstadion di Francoforte, quarti di finale di Coppa del Mondo: di fronte la grande favorita per la vittoria finale, il Brasile di Kakà, Adriano, del Fenomeno Ronaldo e del Pallone d'oro Ronaldinho; e una squadra che ha a lungo rischiato di non arrivarci neppure in Germania. E che una volta lì ha conquistato la qualificazione alla seconda fase solo all'ultima giornata, con un secondo posto alle spalle della Svizzera: la Francia.
Non c'è storia: e infatti non ci fu. Perché les blues schierarono in campo lui: un algerino dagli occhi di ghiaccio cresciuto nella difficile e a tratti violenta periferia di Marsiglia. Un posto che potremmo definire quasi poco francese, dove non c'è posto per l'eleganza e la raffinatezza.
Eppure lui queste qualità le possedeva in abbondanza, e le riversò tutte sul campo da calcio. Perché lui nella vita non faceva il calciatore, lui faceva l'artista, e il suo mezzo di espressione era il pallone, col quale ogni volta creava traiettorie e giocate che il pensiero di noi comuni mortali faceva fatica a dar vita.
L'artista in questione, come ogni genio che si rispetti, si esaltava nelle serate di gala, quelle che i salotti buoni del calcio attendono con ansia, quelle dove a prendersi la scena sono solo i migliori. Lui lo era, e la notte di Francoforte del 1 luglio era una di quelle notte in cui le stelle sono più lucenti del solito, la luna brilla alta nel cielo, la brezza rende placido il nostro respiro, e tutto è incorniciato affinché qualcuno dispensasse un po' di magia.
Missione compiuta.
Non mise a segno nessun gol quella sera: un vero artista non si sporca mica le mani direttamente? Sarebbe stato un qualcosa ai limiti del triviale mettere a segno un gol.
No: piuttosto mise su uno show per palati fini, con tocchi che dispensavano magia e palloni al bacio che i suoi braccianti avrebbero avuto il privilegio di mettere in porta (e che magnifico bracciante era anche lui, quel numero 12 antilliano dai movimenti da pantera che era Thierry Henry...).
Insomma, una lezione di calcio per tutti gli aspiranti campioni, avversari o compagni poco importa, che erano in campo quella sera. E che lo guardavano ammirati, assetati come noi tifosi di altre magie, come studenti di fisica a una lezione del prof. Einstein...
Quell'artista, di nome Zinedine Zidane, meno di una settimana dopo imbrattò in maniera banale la tela sulla quale stava dipingendo il suo ennesimo capolavoro, forse il più bello di tutti. Per nostra fortuna ovviamente.
Così sono gli artisti d'altronde: tanto genio, una luce abbagliante, ma anche momenti di buio pesto.
Quella sera del 9 luglio forse dimostrò che aveva ragione l'avvocato Agnelli, che lo aveva definito più divertente che utile.
Forse è per questo che amo questo calciatore: l'utilità del calcio, una volta tanto, lasciamo che sia una cosa da tecnici, da allenatori, di quelli a cui piace gente come Inzaghi, che non dribbla una sedia ma mette il pallone in porta.
Io sono un tifoso, uno spettatore.
E pago il biglietto per vedere il genio, l'arte, la fantasia, il colpo a effetto che sognerò anche nelle notti successive alla partita. Che magari proverò alla prima partitella a calcetto in qualche campo spelacchiato della provincia in cui vivo.
Fallendo miseramente, ovvio. E in quel momento alzerò ancora gli occhi al cielo, urlando silenziosamente: "Perché non mi hai dato i piedi di Zidane?"
Perché gli artisti sono pochi, mandati una tantum per dispensare bellezza e sogni. Ma che poi smettono, perché dobbiamo ricordarci che la vita di tutti i giorni è sempre lì, grigia e monotona, ad aspettarci. Ma, cavoli, dopo un colpo di genio di quelli mica è poi tanto grigia?
Per cui tanti auguri per il tuo 43° compleanno Zizou, e grazie ancora. Perché, con le tue fantastiche giocate, il regalo lo hai fatto tu a noi.
Ancora una volta.
VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=XupKPQlOHqA

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