Il bello del calcio: quando il Napoli mise sotto scacco il Chelsea

Anno 2004: a Londra Roman Abramovič, uno degli uomini più ricchi del pianeta e da un anno proprietario del Chelsea, solleva Claudio Ranieri dall'incarico di allenatore dei blues e affida la panchina al giovane manager portoghese, fresco campione d'Europa con il Porto, José Mourinho. Non solo: per il portoghese allestisce una squadra di altissimo livello, spendendo diversi milioni di euro per assicurarsi campioni del calibro di Čech, Carvalho, Paulo Ferreira e Drogba. Sforzi che alla fine vennero ricompensati: il Chelsea infatti conquistò il titolo inglese, il secondo della sua storia, che mancava da cinquanta anni, vinse inoltre la Curling cup e approdò alle semifinali di Champions League, frenato solo dal Liverpool che poi andò a vincere la coppa. Ma i frutti non si limitarono a quella stagione: il Chelsea entrò di diritto nell'élite del calcio europeo, in quanto uno dei club più forti d'Inghilterra e del continente.
Mentre a Londra cominciava questa ricchissima e vincente avventura calcistica, parecchi chilometri più a sud della capitale inglese, a Napoli, la situazione non avrebbe potuto essere più diversa: sulla gloriosa S.S.C Napoli si stava chiudendo tristemente il sipario dopo anni zoppicanti in Serie B, con una squadra che nulla aveva in comune con quella di Diego Armando Maradona, che meno di vent'anni prima aveva dominato in Italia e anche in Europa. Erano giorni di sgomento e smarrimento per i tifosi partenopei, che vedevano in una calda estate la loro squadra scomparire dal panorama calcistico. L'attività fortunatamente non si fermò: irruppe sulla scena infatti l'imprenditore cinematografico Aurelio De Laurentiis, che riacquistò il titolo sportivo dal curatore fallimentare e, pur se sotto il nome insipido e insignificante di Napoli Soccer e in una categoria fino ad allora sconosciuta al calcio partenopeo, la Serie C1, il calcio continuò a esistere all'ombra del Vesuvio.
Anno 2012: allo stadio San Paolo di Napoli 52495 spettatori paganti attendono con impazienza che si facciano le 20:45, per poter finalmente assistere all'attesissimo ottavo di finale di Champions League in programma quella sera, che vede impegnati i beniamini di casa del Napoli contro i campioni inglesi del Chelsea.

Sono passati solo otto anni, e due realtà che erano agli antipodi come i ricchissimi blues e gli azzurri appena risorti dalla ceneri del fallimento si ritrovano ad affrontarsi faccia a faccia nella massima competizione europea.
Basta ciò per far sì che questa partita meriti il suo spazio ne "Il bello del calcio", quest'angolo di blog che ho deciso di dedicare a quelle partite, in una maniera o nel'altra memorabili, che presentano in un certo senso quei fattori, anche piccoli a volte, che rappresentano per noi amanti di calcio il bello di questo sport, ciò che ci inchioda da anni a seguire le gesta di ventidue atleti che corrono dietro a un pallone.
E il Napoli, storicamente, è molto più che undici atleti che corrono dietro a un pallone: più e più volte abbiamo sentito la famosa locuzione <<Il Napoli non è una squadra di calcio, ma lo stato d'animo di una città>>, ma pochi la comprendono appieno, se davvero non si vive a fondo il calcio a Napoli. Una città che, come sempre tesa senza un apparente equilibrio fra sacro e profano, a pochi metri da una delle sue più belle chiese, quella di San Domenico Maggiore, e dalla celebre via San Gregorio Armeno, famosa in tutto il mondo per le botteghe di artigianato presepiale, presenta un altarino dove è esposta, per la "devozione popolare", una ciocca di capelli di Maradona, colui che ha fatto la storia del calcio a Napoli, oltre a una foto del calciatore, degli articoli a lui dedicati nel periodo degli scudetti e alcuni rosari.
Naturale che una squadra del genere è pane per i denti de "Il bello del calcio": a maggior ragione se, come sa ormai chi mi legge da tempo, l'autore di questo blog vive in maniera diretta da tifoso gioie e dolori del club azzurro.
Ma non divaghiamo, e torniamo a ciò che più ci interessa, ovvero la partita: le due squadre si presentano forti del loro passato decisamente opposto, del quale ho già avuto modo di parlare. Ma arrivano anche con uno stato d'animo abbastanza simile: i blues infatti, sulla cui panchina non siede più (ormai da tempo in verità) Mourinho, bensì il suo "erede" André Villas-Boas che, dopo un avvio brillante che gli ha permesso anche di vincere con 11 punti il gruppo E di Champions League davanti a Bayer Leverkusen, Valencia e Genk, adesso soffre non poco, tanto che si presenta al San Paolo come quinta in classifica in Premier League, piazzamento che nell'era Abramovič non si era mai visto, e con la piazza che giustamente rumoreggia.
Rumoreggia un pochino anche la platea azzurra, che vede la sua squadra giocare un campionato al di sotto delle (forse troppo alte) aspettative del tifoso, essendo già lontanissima dalla coppia di testa Juventus-Milan, ma il cui cammino in Champions è stato a dir poco esaltante.
Gli uomini di Mazzarri (alla guida del Napoli dall'Ottobre 2009), inseriti nel girone di ferro con Bayern Monaco, Manchester City e Villareal, sono riusciti contro ogni pronostico a spuntarla sui più attrezzati (almeno sulla carta) spagnoli e inglesi e, con un bottino di 11 punti (gli stessi del Chelsea) hanno chiuso il girone al secondo posto alle spalle solo dei fortissimi tedeschi di Heynchess, gli unici in grado di sconfiggere gli azzurri tra l'altro.
È quindi con un entusiasmo triplicato rispetto al solito che i tifosi azzurri si apprestano a vivere quella gran notte di gala: una notte che fino a pochi anni fa potevano solo sognare o giocare sulle console delle loro Playstation, una notte inseguita per anni senza mai farci davvero caso, ma che una volta arrivati a vivere non avevano alcuna intenzione di perdere. Non senza l'onore delle armi perlomeno.
Perché i tifosi azzurri in quegli anni hanno due garanzie: la prima è che Walter il mago, quel Mazzarri venuto dalla provincia (chiedere a Sampdoria e Reggina per ulteriori info) che sembra riuscire a cavare il sangue anche da una rapa, rendendo gente del calibro di Aronica, Cannavaro e Dossena in grado di giocare in Champions League, di marcare a uomo campionissimi come Aguero, Dzeko, Robben e tanti altri senza sfigurare, avrebbe continuato a infondere alla squadra quello spirito battagliero che lo contraddistingue, che avrebbe permesso alla sua squadra, i suoi undici leoni, di non mollare mai e di lottare fino al 90' minuto e al fatidico fischio finale.
Se una garanzia era appunto la guida tecnica e, soprattutto, la carica emotiva che quest'ultima trasmetteva, l'altra era molto più semplice, e prendeva il nomignolo affettuoso de "I tre tenori".
Ovvero Hamsik, il giovane fuoriclasse slovacco arrivato il primo anno di A, e la cui crescita tecnica e tattica è praticamente coincisa con quella dalla squadra, da piccola realtà di Serie A a grande del calcio italiano che si siede al tavolo buono delle migliori sedici d'Europa; Lavezzi, che ha delle caratteristiche tecniche e una velocità nel saltare l'uomo in dribbling che entusiasmano i tifosi napoletani dal lontano 2007, ed è il campione nel quale la maggior parte dei tifosi si indentifica, anche caratterialmente parlando; ma soprattutto lui, la punta mortifera i cui gol traducono in realtà la grinta di Mazzarri, le giocate di Hamsik e Lavezzi e i sogni dei tifosi: Edinson Cavani.
È con loro quindi, coloro che hanno portato in un certo senso il Napoli fino a quel traguardo, che si scende in campo anche al San Paolo, davanti a un pubblico festante che urla, nel momento di maggiore pathos nell'esecuzione di quello che è l'inno della competizione, l'ormai celebre "The Champiooooons!!!"

A completare la rosa gli altri titolarissimi di Mazzarri, a comporre il canonico 3-5-2: fra i pali De Sanctis; in sua protezione il terzetto difensivo Campagnaro, Cannavaro e Aronica; sulle fasce i soliti Maggio e Zuniga, rispettivamente a destra e a sinistra, mentre a comporre la cerniera di centrocampo insieme ad Hamsik (che però ha maggiori compiti di inserimento in fase offensiva) ci sono Gargano e il neo-acquisto Inler. Dall'altro lato Villas-Boas schiera Čech; davanti a lui una linea a quattro formata da Ivanovic, Cahill, David Luiz e Bosingwa, un centrocampo a due composto da Meireles e Ramires, col compito di proteggere la batteria di trequartisti, formata da Malouda, Sturridge e Mata a supporto del capitano Drogba.
Non ci sarebbe storia, razionalmente: il Chelsea è una squadra che vale, fra monte ingaggi e costo del cartellino, parecche decine di milioni in più rispetto al Napoli. Ma, se il calcio fosse fatto dai ragionieri e non dagli sportivi, insieme al Bayern ci sarebbe il City degli sceicchi, non di certo il club di De Laurentiis. Che però è lì, e se ci è arrivato un motivo ci sarà: e la Mazzarri-band ha tutte le intenzioni di mostrare all'Europa perché sono giunti fin lì.
La partita inizia bene per il Napoli, che mostra un'intensità di gioco che mette in difficoltà gli inglesi, i quali solo grazie a uno strepitoso Čech su Cavani e Maggio, imbeccati magnificamente da Inler e Lavezzi (fra i migliori in campo), non vanno sotto.
Ma, beffa del destino, è il Chelsea a passare in vantaggio: il tutto parte da una palla intercettata a centrocampo da Ashley Cole (subentrato pochi minuti prima a Bosingwa) che serve il centravanti Drogba, il quale sviluppa l'azione in fascia verso Sturridge, il cui pallone in mezzo è di quelli anonimi, già di proprietà del difensore centrale avversario. E infatti Cannavaro ci va puntuale: solo che, forse anche a causa di un piccolo fosso traditore nell'area azzurra, il pallone di alza di quel tanto che basta affinché Cannavaro lo svirgoli malamente, arrivando così a Mata che, a tu per tu con De Sanctis, non può sbagliare. 0-1 Chelsea, e la favola del Napoli pare già finita.
La faccia di Cannavaro, consapevole di averla fatta grossa, è tutta un programma, e da napoletano tifoso della squadra della quale è capitano interpreta in questo modo i sentimenti di tutti gli altri tifosi, assiepati sugli spalti del San Paolo e non: non può finire così.
Alla tristezza di Cannavaro fa però da contraltare la rabbia agonistica di quei tre davanti, soprattutto del pocho Lavezzi, il più passionale dei tre, quello per il quale le emozioni sono tutto, durante una partita di calcio. È lui che si carica di tutta la voglia di riscatto, della squadra e della tifoseria, ed è sempre lui, col suo modo di giocare rabbioso e travolgente, a rosicchiare sempre più metri al suo diretto marcatore, il brasiliano David Luiz; finché 10 minuti dopo la marcatura di Mata, al termine di un'azione convulsa, raccoglie il passaggio di Cavani al limite dell'area e trova un bellissimo destro a giro che va a insaccarsi nell'angolino, fuori dalla portata delle mani magiche di Čech: 1-1 e Napoli nuovamente in gioco.
Ed è un guaio per il Chelsea: perché adesso che il Napoli ha capito che anche a questi qui, quei mostri sacri che fino all'anno scorso sognavano soltanto di affrontare, può essere fatto gol e ci si può giocare alla pari, allora comprende che tutto è possibile, se si spinge a tavoletta sull'acceleratore, senza fermarsi, senza aver paura di volare in alto, vicino al sole.
Ma il Chelsea, giustamente, non ci sta, e con Ramires si trova nuovamente a tu per tu con De Sanctis: il brasiliano però spara altissimo in Curva A, che tira un sospiro di sollievo dopo il grande spavento. È il campanello d'allarme che serviva per scuotere ancora di più gli animi azzurri: bisogna far presto a tramortire il Chelsea, perché se si lascia ancora troppo in vita ha i campioni per far sua la contesa con un solo episodio.
Il Napoli lo capisce, ed esegue: è il 47' della prima frazione di gioco quando Hamsik scarica su Inler, che scodella un bel pallone sul secondo palo, dove c'è Cavani, puntuale come lo è stato e lo sarà ben 104 volte in 138 partite in azzurro. E il 47' del primo tempo di Napoli-Chelsea è proprio uno di quei 104 attimi azzurri dell'uruguaiano di Salto, che colpisce il pallone metà con la spalla e metà col petto, in una maniera un po' sporca rispetto a quanto ci ha abituato in tre stagioni azzurra, ma che importa? Quel tocco non pulitissimo è sufficiente perché Čech non la prenda: 2-1 all'intervallo, col Napoli che in 20 minuti è stato capace di rivoltare a suo favore il risultato.
Il secondo tempo inizia con lo stesso brio della prima frazione e, dopo un paio di tentativi da parte di Cavani, Sturridge e Mata, è Lavezzi, imbeccato da Cavani dopo un cattivo disimpegno dei blues, a sfiorare il colpo grosso, ma quando ha la porta spalancata davanti e il solo indifeso Čech da battere, manda a lato il suo sinistro diretto sul secondo palo, sprecando in questo modo il pallone del possibile 3-1.
Ed è un peccato per davvero: perché il Chelsea e i suoi campioni fanno comunque paura, e quando avanzano provocano un brivido lungo tutta la schiena ai tifosi, ma De Sanctis è attento sui tentativi di Mata e Drogba. Bisogna attaccare dunque, tenerli sotto pressione. Se poi magari il Napoli ne segnasse un altro...
Ma questa è una serata magica, una notte in cui ogni desiderio azzurro diviene realtà: ed ecco che un pallone buttato in avanti da Campagnaro, che con quella fasciatura che avvolge la sua testa sembra quasi il genio della lampada di Aladino, viene controllato splendidamente da Cavani, che salta anche Cole e, col portiere in uscita, scarica al centro sull'accorrente Lavezzi, che stavolta no, non può proprio sbagliare.
Il 3-1 è l'apoteosi per i tifosi e per i calciatori azzurri: è il sigillo di un lungo cammino che sembrava impossibile ma che invece è lì, presente, tangibile. Lo hanno appena compiuto, e non è un semplice sogno: è un sogno che diventa realtà. Quella sera il piccolo Napoli, che nel 2004 rinasceva dal fallimento e ripartiva dalla Serie C1, dai campi angusti e privi di gloria di Giulianova, Manfredonia, Gela e Chieti, si trova adesso a ospitare il grande circo della Champions League e le sue guest-star, il ricchissimo Chelsea, e addirittura si ritrova a metterlo sotto scacco. E peccato che non sia stato scacco matto, perché il piede si Ashley Cole scacciò sulla linea il pallone del 4-1 di Maggio che chissà, magari avrebbe cambiato la Storia. Non lo so e non lo posso sapere. Nessuno può saperlo, ma che importa? Ai tifosi resta la soddisfazione di aver battuto il Chelsea in Champions League, in quell'edizione che Drogba e compagni riusciranno persino a far loro. Soddisfazione effimera? Forse, perché non ci si nutre solo di soddisfazioni, nella vita come nello sport.
Ma come si fa a pensare questo, quando la tua squadra ha messo al tappeto una delle migliori squadre del continente?


IMMAGINI E VIDEO:
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