Zvonimir il croato e il pomeriggio in cui iniziò tutto
Presso i nativi americani il nome di una persona riveste un'importanza cruciale, molto più che per noi occidentali: ne è una prova il fatto che il nome è spesso soggetto a cambiamenti nel corso della vita, proprio perché il vissuto e le qualità mostrate in esso dicono molto sulla persona, e sono indizi utili per dare a qualcuno un nome che indichi ciò che realmente è.
Fra noi europei non è così, come ben sappiamo, e il nome che i nostri genitori ci impongono alla nascita ci accompagnerà per sempre in tutta la nostra vita: ciò nonostante, credo che sia bello riuscire, in un certo senso, a "indovinare" con il nome l'essenza di ciò che sarà un giorno quel bambino appena venuto al mondo che stringiamo fra le braccia.
Ci riuscì in questo intento una coppia di Imoschi nel 1968 che, in data 8 ottobre, sceglie per l'ultimo arrivato in famiglia il nome Zvonimir.
Non è un nome casuale Zvonimir: Zvonimir è un nome che vuol dire Croazia in un certo senso, essendo stato il nome di uno dei primi grandi re della nazione croata.
Zvonimir è croato, dunque. Ma, in quel periodo, dire di essere croati vuol dire molto poco: la Croazia infatti non esiste più, se non come repubblica appartenente al grosso stato sovranazionale della Jugoslavia, la terra degli slavi del sud. Questa infatti è una repubblica federale in cui sono messe insieme, come in un fritto misto, sei repubbliche, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni e due alfabeti. Che però si mantengono insieme, in un equilibro tremendamente precario, grazie ad un collante ben preciso, che risponde al nome del maresciallo Josip Broz, che però il mondo conosce col suo nome di battaglia: Tito. Tito guida questa baraonda di popoli cercando di uniformarli con un'arma ben precisa: il socialismo, quello puro, che non contempla al suo interno nazionalismi o religioni. Per farla breve: quando Zvonimir, il cui nome trasuda Croazia in ogni sillaba, viene al mondo non solo non esiste la Croazia, ma quasi non esistono più i croati.
Ma questa è politica, e in questo blog si parla di calcio: è un argomento sul quale il nostro Zvonimir - il cui cognome, non ve l'ho ancora detto, è Boban - è molto preparato, come può apprezzare chi ha un abbonamento a Sky Sport e lo sente discutere di calcio nei post partita. E Zvonimir è bravissimo a giocare, tanto da essere notato dalla Dinamo Zagabria, per la quale debutta nel 1985, a soli 16 anni. Quando lo vedi giocare ti accorgi che ha un feeling particolare col gioco, che travalica il limite della sua giovane età, e nel giro di tre anni c'è già una fascia di capitano sul suo braccio, a testimoniare la leadership, tecnica e carismatica, che esercita all'interno del club croato.
Sì, croato: perché per uno che si chiama Zvonimir e gioca nel maggiore club di Zagabria la Jugoslavia non significa nulla. In più, nel 1980 Tito ha lasciato questo mondo: la sua dipartita ha fatto in un certo senso svegliare tutti in Jugoslavia dopo decenni di trance. Adesso tutti si guardano, e si chiedono cosa significhi quella bandiera a strisce con la stella rossa al centro che dovrebbe rappresentarli, ma che in realtà non rappresenta un bel niente.
E il calcio, lo sport della gente anche in Jugoslavia, riflette tutto questo, volente o nolente.
L'aria, quel 13 maggio 1990, era bollente a Zagabria: no, non per la primavera, assai mite nei Balcani. È tutta la situazione ambientale che fa schizzare su i termometri, verso l'allarme rosso. Meno di dieci giorni prima Franjo Tuđman è stato eletto presidente della repubblica croata. Tuđman è un militare, leader di HDZ, che rappresenta la Croazia nazionalista e indipendentista che vuole staccarsi da Belgrado. In città in quei giorni si vedono molte più bandiere con la scacchiera biancorosso - la vera bandiera dei croati - del solito, e tutti cominciano a covare forti sentimenti anti-serbi, quelli di Belgrado, i "padroni" della Jugoslavia fino ad allora.
In questo clima, anzi nonostante questo clima, il calcio va avanti. Ed è proprio una partita di calcio ad averci portato a Zagabria il 13 maggio 1990. Non una partita qualsiasi, ma LA partita: la Dinamo quel giorno ospita al Maksimir - lo stadio di Zagabria - nientemeno che la capolista, quella fortissima Stella Rossa che l'anno successivo, spinta dai suoi campioni Stojkoviċ, Saviċeviċ e Pančev (quello vero, non il gemello scarso che giocò all'Inter e divenne idolo della Gialappa's) vincerà addirittura la Coppa dei Campioni. Uno scontro al vertice, visto che la Dinamo di Boban e Šuker è seconda, ed è l'unica che riesce, fino a un certo punto, a tenere il passo dei biancorossi.
Sarebbe una partita bellissima da vivere e raccontare, visto il calibro dei campioni impegnati nel match: non lo sarà mai.
Da Belgrado, in treno, oltre ai futuri campioni d'Europa, arrivano anche i delije, gli ultras al seguito della Stella Rossa. E fra loro, ovviamente, c'è anche il loro guru, al secolo Željko Ražnatović, che la Storia conoscerà come Arkan.
Ad Arkan del calcio non gliene frega niente: lui è entrato nell'ambiente della curva del Marakana (lo stadio di Belgrado) - dopo una vita passata in giro fra le galere di tutta Europa visitate per i numerosi crimini e omicidi che commetteva fin da giovane età - solo per reclutare fra i delije le sue tigri, la milizia paramilitare di cui era a capo negli anni della guerra in Jugoslavia, che si macchiò di crimini contro l'umanità, genocidi e atti di pulizia etnica, per i quali Arkan non venne mai condannato, visto che la pistola di Dobrosov Gavrić gli strappò la vita prima che la giustizia avesse compiuto il suo corso. Sì, la guerra in Jugoslavia, della quale Arkan e le sue tigri furono protagonisti assoluti, e grazie alla quale lo stesso Ražnatović riuscì ad accumulare una fortuna immensa, frutto di saccheggi e contrabbando.
Se c'è una data di inizio a quel conflitto, e a tutto ciò che conseguentemente ne scaturì, quella è proprio il 13 maggio 1990, come rivelerà anni dopo in un'intervista lo stesso Arkan. Il giorno della partita mai disputatasi fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado.
Al Maksimir si disputò invece un altro match: quello fra i delije e i Bad blue boys, gli ultras della Dinamo Zagabria. Arkan e i suoi arrivarono allo stadio dopo aver devastato il treno che li ha portati da Belgrado a Zagabria, e tutto ciò che incontrarono nel viaggio dalla stazione al Maksimir.
Intorno alle 18:00 scattò l'ora X: i delije presero a staccare i sediolini della tribuna Sud, in cui erano alloggiati, e a gettarli contro i tifosi della Dinamo, che pure avevano accolto i rivali con cori violenti e offese anti-serbe. Poi si passò al contatto diretto, e gli ultras serbi presero a picchiare selvaggiamente i tifosi croati, sotto gli occhi impassibili di una immobile polizia, a maggioranza serba, che si dimostrò in un certo senso compiacente nei confronti dei delije.
Dopo un quarto d'ora di barbarie, dalla tribuna Nord i B.B.B. sfondarono la ringhiera, ed entrarono in campo per avventarsi contro i serbi. Ma, quasi come risvegliatesi da un lungo sonno, le forze dell'ordine si lanciano contro di loro, rispondendo con calci, pugni, manganellate, lacrimogeni e getti d'acqua per cercare di disperdere gli ultras della Dinamo.
Mai prima di allora in Jugoslavia essere serbi o croati faceva tanto la differenza: e Boban croato lo è in tutto e per tutto, da quando i suoi genitori gli hanno imposto il nome Zvonimir, quello del grande re croato. E non si tira indietro: lui è in campo, insieme agli altri calciatori della Dinamo, per provare a convincere i tifosi a tornare al proprio posti, per provare a far sì che quella partita si giochi; quando vide un poliziotto che colpiva forte e ripetutamente, con il suo manganello, un giovanissimo tifoso croato, praticamente un bambino.
"Ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara da non poterne rimanere indifferente"; descrisse così il suo gesto Zvonimir il croato, il quale intervenne a difesa di un suo giovane tifoso, reo solo di essere croato come Zvonimir. "Quando il poliziotto mi ha colpito, ho risposto".
L'istatanea della ginocchiata volante rifilata al poliziotto, che a causa della quale si ritrovò con la mascella fratturata, fece il giro del mondo: Zorro, come lo chiamano i suoi tifosi, fu escluso dai Mondiali in programma in Italia circa un mese dopo i fatti del Maksimir, squalificato per un anno e rischiò la detenzione.
Boban da quel giorno divenne eroe per i croati, simbolo della lotta per l'indipendenza dalla Serbia, ottenuta nel giugno 1991, insieme agli oltre 100 feriti di quel pomeriggio pazzo di maggio, ai quali è dedicata una targa commemorativa proprio all'ingresso del Maksimir.
In quel giorno però non voglio vedere nessun atto di eroismo. Non c'è spazio per gli eroi in questa storia. Ci sono solo vittime e carnefici. Fra le prime, anche se sembra appartenere ai secondi, c'è anche il poliziotto che si prese il calcio da Boban: non era serbo, era un bosniaco musulmano. Uno che semplicemente eseguiva gli ordini del padrone, come hanno fatto per decenni tutti, persino i croati ribelli di quel pomeriggio. La sua popolazione fu la più bersagliata, molto più della Croazia a dirla tutta, proprio dai serbi e da quel Ražnatović che quel giorno gli fu ordinato di difendere.
Arrivò il perdono per Boban da parte della vittima, perché "quelli erano giorni in cui le persone erano cieche". E aveva ragione: il falso nazionalismo di Arkan e Milošević (il presidente serbo che fu mandante delle guerre in Croazia e Bosnia, nonché delle pulizie etniche nei territori invasi), e la violenza gratuita furono i veri responsabili di quel pomeriggio, dove si scontrarono delije e bed blue boys, gruppi ultras composti dalle stesse persone che si scontrarono, di lì a un anno, a Vukovar, la cittadina in territorio croato ma multietnica in cui la convivenza fra serbi e croati era storica e pacifica, presa d'assedio dai serbi in un episodio simbolo di quella sanguinosissima guerra, i cui strascichi si sentono ancora oggi.
Quel pomeriggio, da pomeriggio di calcio, divenne il pomeriggio in cui iniziò tutto.
PER SAPERNE DI PIÙ:
http://it.wikipedia.org/wiki/Incidenti_della_partita_Dinamo-Stella_Rossa_del_1990
http://www.storiedicalcio.altervista.org/dinamo-zagabria-stella-rossa-1990.html
http://blog.futbologia.org/2013/03/la-guerra-e-iniziata-al-maksimir/
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://www.sportvintage.it/wp-content/uploads/2009/05/maksimir1990-8.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/13/Josip_Broz_Tito_uniform_portrait.jpg
http://static.goal.com/341400/341471_heroa.jpg
http://www.kroatiehrvatska.com/slika/hist_tud.jpg
http://blog.futbologia.org/wp-content/uploads/2013/03/arkan-tigers.jpg
http://www.sportvintage.it/wp-content/uploads/2009/05/maksimir1990-3.jpg
http://www.sportvintage.it/wp-content/uploads/2009/05/maksimir1990-4.jpg
http://blog.futbologia.org/wp-content/uploads/2013/03/boban-maksimir.jpg
https://www.youtube.com/watch?v=uXr1Z-MiApo
Fra noi europei non è così, come ben sappiamo, e il nome che i nostri genitori ci impongono alla nascita ci accompagnerà per sempre in tutta la nostra vita: ciò nonostante, credo che sia bello riuscire, in un certo senso, a "indovinare" con il nome l'essenza di ciò che sarà un giorno quel bambino appena venuto al mondo che stringiamo fra le braccia.
Ci riuscì in questo intento una coppia di Imoschi nel 1968 che, in data 8 ottobre, sceglie per l'ultimo arrivato in famiglia il nome Zvonimir.
Non è un nome casuale Zvonimir: Zvonimir è un nome che vuol dire Croazia in un certo senso, essendo stato il nome di uno dei primi grandi re della nazione croata.
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Tito |
Ma questa è politica, e in questo blog si parla di calcio: è un argomento sul quale il nostro Zvonimir - il cui cognome, non ve l'ho ancora detto, è Boban - è molto preparato, come può apprezzare chi ha un abbonamento a Sky Sport e lo sente discutere di calcio nei post partita. E Zvonimir è bravissimo a giocare, tanto da essere notato dalla Dinamo Zagabria, per la quale debutta nel 1985, a soli 16 anni. Quando lo vedi giocare ti accorgi che ha un feeling particolare col gioco, che travalica il limite della sua giovane età, e nel giro di tre anni c'è già una fascia di capitano sul suo braccio, a testimoniare la leadership, tecnica e carismatica, che esercita all'interno del club croato.
Sì, croato: perché per uno che si chiama Zvonimir e gioca nel maggiore club di Zagabria la Jugoslavia non significa nulla. In più, nel 1980 Tito ha lasciato questo mondo: la sua dipartita ha fatto in un certo senso svegliare tutti in Jugoslavia dopo decenni di trance. Adesso tutti si guardano, e si chiedono cosa significhi quella bandiera a strisce con la stella rossa al centro che dovrebbe rappresentarli, ma che in realtà non rappresenta un bel niente.
E il calcio, lo sport della gente anche in Jugoslavia, riflette tutto questo, volente o nolente.
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Franjo Tuđman |
In questo clima, anzi nonostante questo clima, il calcio va avanti. Ed è proprio una partita di calcio ad averci portato a Zagabria il 13 maggio 1990. Non una partita qualsiasi, ma LA partita: la Dinamo quel giorno ospita al Maksimir - lo stadio di Zagabria - nientemeno che la capolista, quella fortissima Stella Rossa che l'anno successivo, spinta dai suoi campioni Stojkoviċ, Saviċeviċ e Pančev (quello vero, non il gemello scarso che giocò all'Inter e divenne idolo della Gialappa's) vincerà addirittura la Coppa dei Campioni. Uno scontro al vertice, visto che la Dinamo di Boban e Šuker è seconda, ed è l'unica che riesce, fino a un certo punto, a tenere il passo dei biancorossi.
Sarebbe una partita bellissima da vivere e raccontare, visto il calibro dei campioni impegnati nel match: non lo sarà mai.
Da Belgrado, in treno, oltre ai futuri campioni d'Europa, arrivano anche i delije, gli ultras al seguito della Stella Rossa. E fra loro, ovviamente, c'è anche il loro guru, al secolo Željko Ražnatović, che la Storia conoscerà come Arkan.
Ad Arkan del calcio non gliene frega niente: lui è entrato nell'ambiente della curva del Marakana (lo stadio di Belgrado) - dopo una vita passata in giro fra le galere di tutta Europa visitate per i numerosi crimini e omicidi che commetteva fin da giovane età - solo per reclutare fra i delije le sue tigri, la milizia paramilitare di cui era a capo negli anni della guerra in Jugoslavia, che si macchiò di crimini contro l'umanità, genocidi e atti di pulizia etnica, per i quali Arkan non venne mai condannato, visto che la pistola di Dobrosov Gavrić gli strappò la vita prima che la giustizia avesse compiuto il suo corso. Sì, la guerra in Jugoslavia, della quale Arkan e le sue tigri furono protagonisti assoluti, e grazie alla quale lo stesso Ražnatović riuscì ad accumulare una fortuna immensa, frutto di saccheggi e contrabbando.
Se c'è una data di inizio a quel conflitto, e a tutto ciò che conseguentemente ne scaturì, quella è proprio il 13 maggio 1990, come rivelerà anni dopo in un'intervista lo stesso Arkan. Il giorno della partita mai disputatasi fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado.
Al Maksimir si disputò invece un altro match: quello fra i delije e i Bad blue boys, gli ultras della Dinamo Zagabria. Arkan e i suoi arrivarono allo stadio dopo aver devastato il treno che li ha portati da Belgrado a Zagabria, e tutto ciò che incontrarono nel viaggio dalla stazione al Maksimir.
Intorno alle 18:00 scattò l'ora X: i delije presero a staccare i sediolini della tribuna Sud, in cui erano alloggiati, e a gettarli contro i tifosi della Dinamo, che pure avevano accolto i rivali con cori violenti e offese anti-serbe. Poi si passò al contatto diretto, e gli ultras serbi presero a picchiare selvaggiamente i tifosi croati, sotto gli occhi impassibili di una immobile polizia, a maggioranza serba, che si dimostrò in un certo senso compiacente nei confronti dei delije.
Dopo un quarto d'ora di barbarie, dalla tribuna Nord i B.B.B. sfondarono la ringhiera, ed entrarono in campo per avventarsi contro i serbi. Ma, quasi come risvegliatesi da un lungo sonno, le forze dell'ordine si lanciano contro di loro, rispondendo con calci, pugni, manganellate, lacrimogeni e getti d'acqua per cercare di disperdere gli ultras della Dinamo.
Mai prima di allora in Jugoslavia essere serbi o croati faceva tanto la differenza: e Boban croato lo è in tutto e per tutto, da quando i suoi genitori gli hanno imposto il nome Zvonimir, quello del grande re croato. E non si tira indietro: lui è in campo, insieme agli altri calciatori della Dinamo, per provare a convincere i tifosi a tornare al proprio posti, per provare a far sì che quella partita si giochi; quando vide un poliziotto che colpiva forte e ripetutamente, con il suo manganello, un giovanissimo tifoso croato, praticamente un bambino.
"Ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara da non poterne rimanere indifferente"; descrisse così il suo gesto Zvonimir il croato, il quale intervenne a difesa di un suo giovane tifoso, reo solo di essere croato come Zvonimir. "Quando il poliziotto mi ha colpito, ho risposto".
L'istatanea della ginocchiata volante rifilata al poliziotto, che a causa della quale si ritrovò con la mascella fratturata, fece il giro del mondo: Zorro, come lo chiamano i suoi tifosi, fu escluso dai Mondiali in programma in Italia circa un mese dopo i fatti del Maksimir, squalificato per un anno e rischiò la detenzione.
Boban da quel giorno divenne eroe per i croati, simbolo della lotta per l'indipendenza dalla Serbia, ottenuta nel giugno 1991, insieme agli oltre 100 feriti di quel pomeriggio pazzo di maggio, ai quali è dedicata una targa commemorativa proprio all'ingresso del Maksimir.
In quel giorno però non voglio vedere nessun atto di eroismo. Non c'è spazio per gli eroi in questa storia. Ci sono solo vittime e carnefici. Fra le prime, anche se sembra appartenere ai secondi, c'è anche il poliziotto che si prese il calcio da Boban: non era serbo, era un bosniaco musulmano. Uno che semplicemente eseguiva gli ordini del padrone, come hanno fatto per decenni tutti, persino i croati ribelli di quel pomeriggio. La sua popolazione fu la più bersagliata, molto più della Croazia a dirla tutta, proprio dai serbi e da quel Ražnatović che quel giorno gli fu ordinato di difendere.
Arrivò il perdono per Boban da parte della vittima, perché "quelli erano giorni in cui le persone erano cieche". E aveva ragione: il falso nazionalismo di Arkan e Milošević (il presidente serbo che fu mandante delle guerre in Croazia e Bosnia, nonché delle pulizie etniche nei territori invasi), e la violenza gratuita furono i veri responsabili di quel pomeriggio, dove si scontrarono delije e bed blue boys, gruppi ultras composti dalle stesse persone che si scontrarono, di lì a un anno, a Vukovar, la cittadina in territorio croato ma multietnica in cui la convivenza fra serbi e croati era storica e pacifica, presa d'assedio dai serbi in un episodio simbolo di quella sanguinosissima guerra, i cui strascichi si sentono ancora oggi.
Quel pomeriggio, da pomeriggio di calcio, divenne il pomeriggio in cui iniziò tutto.
PER SAPERNE DI PIÙ:
http://it.wikipedia.org/wiki/Incidenti_della_partita_Dinamo-Stella_Rossa_del_1990
http://www.storiedicalcio.altervista.org/dinamo-zagabria-stella-rossa-1990.html
http://blog.futbologia.org/2013/03/la-guerra-e-iniziata-al-maksimir/
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://www.sportvintage.it/wp-content/uploads/2009/05/maksimir1990-8.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/13/Josip_Broz_Tito_uniform_portrait.jpg
http://static.goal.com/341400/341471_heroa.jpg
http://www.kroatiehrvatska.com/slika/hist_tud.jpg
http://blog.futbologia.org/wp-content/uploads/2013/03/arkan-tigers.jpg
http://www.sportvintage.it/wp-content/uploads/2009/05/maksimir1990-3.jpg
http://www.sportvintage.it/wp-content/uploads/2009/05/maksimir1990-4.jpg
http://blog.futbologia.org/wp-content/uploads/2013/03/boban-maksimir.jpg
https://www.youtube.com/watch?v=uXr1Z-MiApo
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