Tutta colpa di Guardiola
No, non sono pazzo. Davvero penso che sia tutta colpa di Guardiola. Guardiola i suoi meriti li ha, certo, e sono evidentissimi. Ma ha anche le sue colpe, altrettanto evidenti, che hanno portato a far inciampare delle vittime eccellenti. Volete saperne una? Inzaghi. Ne volete un'altra? Seedorf. Due vittime illustri con un comune denominatore, ovvero la principale vittima di Guardiola: il Milan. Più che di Guardiola però si dovrebbe parlare di "Guardiolismo", il vero male di cui è affetto il diavolo.
Ma andiamo con ordine: c'era una volta nel calcio, italiano e non, l'abitudine alla gavetta. Scocciante, dura, ma necessaria. Essa è come quelle medicine che hanno un sapore pessimo, che magari ti abbattono ancor di più, sul momento, ma che poi ti fanno star bene. Ma è anche un buon mezzo per la scrematura e la selezione dei grandi: in molti grandi o presunti tali si sono fermati alla prime dure prove che la gavetta poneva loro innanzi, e solo i più bravi, i più decisi, i più tenaci, i più determinati andavano avanti. E una volta superata ne esci con delle spalle enormi, delle ossa dure che non si spezzano neanche con le cannonate.
Poi, un giorno, arrivò Guardiola, e fu un terremoto. Non solo dal punto di vista tecnico, essendo riuscito a tradurre nel suo gioco il sé stesso calciatore, creando praticamente l'ultima avanguardia del calcio, il tiki-taka, una vera novità nel mondo del calcio come non se ne vedevano da più di trent'anni, quando cioè il suo maestro Cruijff e compagni non diedero vita al cosiddetto calcio totale. Guardiola infatti è uno di quei personaggi che sconvolgono il mondo in cui vive ed opera soprattutto nella mentalità. Perché Guardiola è un qualcosa che non si era mai visto: un mago che ha estratto dal cilindro il Barcellona bi-campione d'Europa di Messi, Xavi, Iniesta e compagnia, ed ha formato in un certo senso l'ossatura per le vittorie europee e mondiali della Spagna. E tutto questo è stato creato da uno che praticamente veniva dal nulla, come la sua filosofia di gioco.
Chi è Guardiola infatti? Pep è stato un grandissimo calciatore, uno dei migliori della sua generazione, cervello e perno centrale del Dream Team creato da Cruijff in terra catalana, che dominò il calcio spagnolo nei primi anni '90, dopo una lunghissima egemonia targata Real e Quinta del Buitre, e riuscì anche ad accaparrarsi la prima Coppa dei Campioni della storia blau-grana. Dopo 17 anni di Barcellona, recide (almeno parzialmente) il cordone ombelicale che lo lega al club catalano e inizia una carriera da girovago che lo porta in Italia, con l'importante esperienza a Brescia inframezzata da una stagione alla Roma; dopodiché accetta l'offerta dei qatarioti dell'Al-Ahly e successivamente decide di trasferirsi in Messico, ai Dorados de Sinaloa, con i quali appende definitivamente gli scarpini al chiodo nel 2006.
Il giorno in cui si scatena il terremoto-Guardiola è nel luglio 2008. Nella pratica quindi, il Barcellona affida la sua panchina, una delle più ambite al mondo, a uno sconosciuto, che ha nel curriculum di allenatore una sola stagione al Barcellona B, in Tercera División, corrispondente occhio e croce alla nostra Serie D. Esperienza nulla, quindi: ma a questo genio del calcio l'esperienza non è servita affatto, a giudicare dai numeri e dai trofei, che non sto qui a elencare perché li conoscete tutti.
Quali colpe può aver avuto quindi, uno che ha avuti tanti e tanti meriti nel mondo del calcio? Una ce l'ha: ha dato il via al guardiolismo. Ovvero, l'idea che a guidare una squadra può esserci chiunque, anche uno che non ha mai vissuto uno spogliatoio dal lato più stretto di questo, quello del mister. Leader, ma sempre a un passo dalla porta: perché se le cose vanno male o non sai controllare i tuoi calciatori, a far le valigie sei tu, non loro. Ha fatto credere che fosse tutto semplice, quando in realtà non lo è affatto.
E gli effetti più devastanti si hanno proprio qui in Italia. A Milano, per la precisione: nel 2009, un mese dopo la Champions League vinta da Guardiola all'Olimpico di Roma, Ancelotti lascia la panchina del Milan. La lascia dopo otto stagioni condite da uno scudetto, una Coppa Italia e due Champions League. Bisogna sostituire questo grande vecchio del calcio: per farlo la coppia Berlusconi-Galliani, che controlla il Milan dal 1986, sceglie Leonardo Nascimento de Araújo. Ex grande nome del calcio, e soprattutto del calcio rossonero: ma che nel suo curriculum vitae alla voce "squadre precedentemente allenate" presenta un bello zero. Naturale, dato che a partire dal suo ritiro dal calcio giocato nel 2003 è sempre stato il direttore operazioni area tecnica del Milan, fungendo anche da emissario in Sudamerica per la squadra rossonera. Insomma, Leonardo da quando ha appeso gli scarpini al chiodo ha sempre indossato giacca e cravatta e lavorato dietro una scrivania. Anche molto bene per la verità, essendo riuscito a portare in rossonero Kakà, Pato e Thiago Silva; ma che non ha mai fatto, e nemmeno ha mai pensato di farlo, l'allenatore. L'andamento, come prevedibile è altalenante: dopo il terribile avvio culminato col 4-0 subito nel derby alla seconda giornata, il Milan vive una stagione di alti e bassi, alternando momenti in cui lotta per il titolo coi cugini ad altri momenti di stand-by tecnico e partite perse in malo modo, con prove talvolta da grandissima squadra e talvolta da squadra messa in campo senza una vera idea tattica da seguire. Alla fine sarà terzo posto, con qualificazione in Champions ottenuta, a -12 dai cugini e -10 dalla Roma classificatasi seconda; mentre in Europa il complessivo 2-7 maturato nei 180 minuti contro il Manchester United pone il termine all'esperienza europea del diavolo già agli ottavi di finale. Insomma, una stagione a metà strada fra il soddisfacente e il mediocre, anche se la rosa rossonera, che vedeva ancora mostri sacri come Nesta, Pirlo, Seedorf, Ronaldinho e Inzaghi fra gli altri, era ancora molto forte e competitiva e lasciava sperare in ben altro cammino.
Anno nuovo vita nuova, anche per Leonardo, che decide di chiudere la sua esperienza in panchina, e il duo affida il timone della barca rossonera a Massimiliano Allegri.
Neanche lui è Ancelotti eh, ma rispetto a Leonardo è uno che sa come si fa quel lavoro: un buon numero di panchine in C1 culminate con la prima storica promozione in B del Sassuolo, che gli vale la chiamata in Serie A da parte di Cellino, che lo vuole per il Cagliari. In Sardegna parte con 5 sconfitte nelle prime 5 gare in A, ma la fiducia di Cellino darà i suoi frutti, e i rossoblu ottengono due salvezze tranquille, con un nono posto al termine di un primo anno in cui i sardi erano andati vicini anche a un clamoroso piazzamento UEFA, Non solo, il Cagliari esprime anche un gioco solido, preciso, a tratti anche divertente, che mette in mostra agli occhi delle grandi calciatori come Astori, Marchetti e Matri.
Allegri entusiasma solo a sprazzi, è vero: ma riesce comunque a portare risultati ragguardevoli: scudetto (il primo non interista nel post-Calciopoli) durante la sua prima stagione in rossonero, secondo posto l'anno successivo, quando solo la prima straordinaria Juventus di Antonio Conte (un altro che prima della Juve il suo giro per la provincia fra Arezzo, Atalanta, Bari e Siena lo ha fatto) che in quell'anno non conobbe sconfitta impedì agli uomini di Allegri di bissare il titolo, terzo posto l'anno successivo, dopo un avvio da brividi al quale il tecnico e la squadra seppero rimediare con un girone di ritorno giocato a ritmo incessante. Infine, durante la scorsa stagione, l'esonero a campionato in corso dopo la sconfitta per 4-3 contro il Sassuolo, col Milan lontano dalla zona Europa.
I numeri in campionato ci dicono molto di Allegri al Milan, ma non tutto: infatti ci parlano di un avvio scoppiettante al quale però è seguito una discesa netta nelle prestazioni e nei risultati sportivi della squadra. Non dicono però di una rosa che, dal 2010 in cui arrivò Allegri al 2014 in cui venne sollevato dall'incarico, è stata progressivamente indebolita - indebolimento al quale non ha potuto far fronte una grande "invenzione" di Allegri, ovvero il Nocerino-goleador dell'anno del secondo posto - nella quale i vari Nesta, Thiago Silva, Gattuso, Seedorf. Inzaghi, Ibrahimovic sono stati sostituiti via via da calciatori non all'altezza dei loro predecessori (Mexes, Muntari, Emanuelson, Antonini, Constant...) o peggio ancora da figurine di grandi calciatori, vestigia di grandi campioni dei tempi che furono come Essien, o il cavallo di ritorno Kakà (per quanto faccia male inserirlo in questo elenco), comprati più per il nome in grado di muovere la campagna abbonamenti più che per il reale contributo sportivo che possono offrire.
Tornando al discorso allenatori, l'esonero di Allegri appare come una mossa tutto sommato giusta: il mister livornese sta in verità lavorando con la rosa più scarsa da quando è in rossonero, ma i risultati sono comunque deludenti e quindi la società, anche legittimamente, prova a dare una scossa alla squadra cambiando la guida tecnica. Ma la società avrà imparato che con un allenatore con un po' di esperienza si può far molto anche con un organico non di primissima scelta? Il nome del successore di Allegri è... Seedorf! Proprio così, lo stesso Seedorf che fu protagonista del secondo posto del 2012 e che ha annunciato lo svincolo dal Botafogo, e quindi la fine della sua carriera da calciatore il 14 gennaio 2014, giusto due giorni prima della sua presentazione come nuovo allenatore rossonero. I risultati li conosciamo tutti: 35 punti ottenuti in 19 partite (non tanti, ma nemmeno pochi ad essere onesti) e squadra che non va oltre l'ottavo posto finale, quindi fuori da ogni competizione europea.
La sua esperienza al Milan già finisce, e al suo posto viene chiamato, sempre seguendo lo sfrenato e scellerato guardiolismo, Inzaghi, nel cui curriculum vitae da allenatore ci sono giusto una stagione alla guida degli Allievi e un'altra alla guida della squadra Primavera. Inzaghi che, poveraccio, si ritrova ad avere in mano le rendini di una squadra costruita senza uno straccio di progetto tattico da portare avanti (qui, fa male dirlo per la stima che il sottoscritto nutre nei confronti di Superpippo, si è vista anche tutta l'inesperienza e la non preparazione del giovanissimo tecnico rossonero, ma non mi dilungo in questo discorso) e deficitaria in parecchi ruoli, con i soli Bonaventura e Menez come giocatori degni della gloriosa maglia rossonera, contorniati dai soliti calciatori senza infamia e senza lode e da altre figurine come Alex e Torres. Risultato? Lo stesso numero di punti raccolti da Seedorf, ma con 7 gare in più a disposizione, e squadra che naviga ben lontana dall'Europa, obbiettivo minimo sbandierato incautamente dalla società prima dell'inizio del campionato.
E la colpa di chi è? Di Guardiola! Sì, caro Pep, è colpa tua! Hai fatto credere a tutti che allenare fosse semplice, alla portata di tutti! Guardiola ha la colpa di esser stato un genio al quale qualcuno ha dato fiducia, e anche dei mezzi di altissimo livello, per poter tradurre in campo ciò che lo ha folgorato nella sua mente. Non un genio incompreso quindi, ma compreso male da chi prova a fare calcio ad alti livelli senza averne le risorse, che vede nell'esempio di Guardiola uno schema facilmente ripetibile: basta dare la panchina a un X allenatore sconosciuto, che però non ha idee geniali e rivoluzionarie da mettere in pratica come le ha avute lo spagnolo, senza però fornirgli dei campioni, o quantomeno una squadra all'altezza della situazione, coi quali poter avviare un progetto tattico e andarsela a giocare con chiunque per i propri obbiettivi, quali che siano. Parliamoci chiaro: Guardiola ha avuto negli anni i vari Messi, Villa, Xavi, Iniesta, Fabregas, Dani Alves e Piqué a Barcellona, e in Baviera adesso dispone di Robben, Ribery, Lewandowski, Gotze, Muller, Lahm e Alaba, non ha mai avuto (con rispetto parlando) i vari Honda, Muntari, Montolivo, Bonera e compagnia che si son ritrovati Inzaghi e Seedorf. Sono handicap, quelli degli uomini a disposizione, cui neanche un grande tecnico può sopperire fino in fondo: magari Guardiola con questo Milan farebbe molto di più di Inzaghi o Seedorf, ma non vincerebbe tutti i trofei che ogni anno conquista lo spagnolo con le sue squadre.
Ma la motivazione più vera di questa scellerata scelta societaria me l'ha data un altro genio dello sport, che tutti hanno provato a replicare fallendo miseramente, Michael Jordan:
Peccato che la società rossonera non abbia l'onestà intellettuale di ammettere in maniera palese ciò che è sotto gli occhi di tutti, e continui a far proclami trionfali, salvo poi fallire miseramente sul campo e "nascondersi" dietro la figura dell'allenatore, da sempre il più esposto alle critiche quando le cose vanno male nel calcio, che più che da guida tecnica alla squadra funge da parafulmine alle colpe societarie che ciclicamente si ripropongono. Fateci caso, da Leonardo a Seedorf a Inzaghi è cambiato solo il nome del povero disgraziato da esporre alla gogna mediatica, ma la situazione è sempre la stessa.
Per cui, secondo la mia modesta opinione, i mali del Milan si risolvono non con un nuovo tecnico, che pure occorrerebbe, visto che ora come ora Inzaghi non ha più quella serenità che occorre per guidare una squadra di calcio, specie se quella squadra si chiama A.C. Milan, ma occorre una nuova proprietà che inietti soldi freschi, coi quali si possa rinforzare adeguatamente la rosa e riportare il Milan al posto che merita. Anche perché sappiamo fin troppo bene cosa è in grado di combinare quella vecchia volpe di Galliani se avesse un budget cospicuo a disposizione...
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://www.milanotoday.it/~media/PP_big/38689793531643/milan-deluso-2.jpg
http://www.blitzquotidiano.it/wp/wp/wp-content/uploads/2009/11/fiorentina.Luca.Toni.TopScorer.jpg
http://i.dailymail.co.uk/i/pix/2012/05/17/article-2145691-04F710130000044D-934_306x494.jpg
http://contropiede.ilgiornale.it/wp-content/uploads/2012/11/guardiola.jpg
http://images2.corriereobjects.it/gallery/Sport/2012/04_Aprile/guardiola/01/img_01/2009-champions-ap_672-458_resize.jpg?v=20120427123224
http://www.corriere.it/Hermes%20Foto/2009/06/02/0KKK5ZFP.jpg
http://www.repubblica.it/images/2013/02/19/155043030-d29ef1b2-baa8-4c3e-89c1-12106982c4eb.jpg
http://www.theoldnow.it/wp-content/uploads/2014/05/seedorf-copertina.jpg
http://cdn1.stbm.it/sportlive/gallery/foto/serie-a-calcio/empoli-milan-foto-gallery-serie-a-23-settembre-2014/empoli-milan-antinipo-23-settembre-2014-2.jpeg?-3600
http://www.rossonerosemper.com/wp-content/uploads/2013/01/berlusca-galliani.jpg
Ma andiamo con ordine: c'era una volta nel calcio, italiano e non, l'abitudine alla gavetta. Scocciante, dura, ma necessaria. Essa è come quelle medicine che hanno un sapore pessimo, che magari ti abbattono ancor di più, sul momento, ma che poi ti fanno star bene. Ma è anche un buon mezzo per la scrematura e la selezione dei grandi: in molti grandi o presunti tali si sono fermati alla prime dure prove che la gavetta poneva loro innanzi, e solo i più bravi, i più decisi, i più tenaci, i più determinati andavano avanti. E una volta superata ne esci con delle spalle enormi, delle ossa dure che non si spezzano neanche con le cannonate.
Ciò vale per tutti, nella vita come nel calcio. Vedasi ad esempio Toni: prima le giovanili del Modena, poi tanta serie C e serie B fra Empoli, Fiorenzuola, Lodigiani e Treviso prima di approdare in Serie A, dapprima in provincia fra Vicenza, Brescia e Palermo, e solo dopo alla Fiorentina, vicino all'ombelico del calcio italiano, dove arrivò la stagione dei 31 gol in 38 partite e la Coppa del mondo in Germania, quando di anni Luca ne aveva già 29. Tanto sudore, tanto fango, tanta fatica, per i quali ne è valsa decisamente la pena. Qualcun altro avrebbe detto "anni di fatiche e botte, e vinci casomai i Mondiali..."; ma il succo è lo stesso. La gavetta, per Toni come per mille altri giocatori, è stata la tappa cruciale per salire sull'Olimpo e banchettare con gli dèi.
Lo stesso vale per gli allenatori, ovviamente: che sia partita come vice a un altro allenatore più anziano, o alla guida squadre giovanili o dilettantistiche, la carriera di un allenatore ha bisogno di questo importante step per giungere al top. Restando sempre con la mente a Berlino 2006, Lippi non sarebbe mai giunto lì o alla Juventus, con la quale vinse tutto a livello di club, senza essere passato prima per le giovanili della Samp, poi per il gran tour della Toscana sempre nelle serie minori, e poi per la provincia per antonomasia in serie A, ovvero l'Atalanta, fino al primo vero banco di prova, ovvero la panchina del Napoli nel primo post-Maradona, a metà strada quindi fra l'altare e la polvere in cui sarebbe presto sprofondato per problemi economici.Poi, un giorno, arrivò Guardiola, e fu un terremoto. Non solo dal punto di vista tecnico, essendo riuscito a tradurre nel suo gioco il sé stesso calciatore, creando praticamente l'ultima avanguardia del calcio, il tiki-taka, una vera novità nel mondo del calcio come non se ne vedevano da più di trent'anni, quando cioè il suo maestro Cruijff e compagni non diedero vita al cosiddetto calcio totale. Guardiola infatti è uno di quei personaggi che sconvolgono il mondo in cui vive ed opera soprattutto nella mentalità. Perché Guardiola è un qualcosa che non si era mai visto: un mago che ha estratto dal cilindro il Barcellona bi-campione d'Europa di Messi, Xavi, Iniesta e compagnia, ed ha formato in un certo senso l'ossatura per le vittorie europee e mondiali della Spagna. E tutto questo è stato creato da uno che praticamente veniva dal nulla, come la sua filosofia di gioco.
Chi è Guardiola infatti? Pep è stato un grandissimo calciatore, uno dei migliori della sua generazione, cervello e perno centrale del Dream Team creato da Cruijff in terra catalana, che dominò il calcio spagnolo nei primi anni '90, dopo una lunghissima egemonia targata Real e Quinta del Buitre, e riuscì anche ad accaparrarsi la prima Coppa dei Campioni della storia blau-grana. Dopo 17 anni di Barcellona, recide (almeno parzialmente) il cordone ombelicale che lo lega al club catalano e inizia una carriera da girovago che lo porta in Italia, con l'importante esperienza a Brescia inframezzata da una stagione alla Roma; dopodiché accetta l'offerta dei qatarioti dell'Al-Ahly e successivamente decide di trasferirsi in Messico, ai Dorados de Sinaloa, con i quali appende definitivamente gli scarpini al chiodo nel 2006.
Il giorno in cui si scatena il terremoto-Guardiola è nel luglio 2008. Nella pratica quindi, il Barcellona affida la sua panchina, una delle più ambite al mondo, a uno sconosciuto, che ha nel curriculum di allenatore una sola stagione al Barcellona B, in Tercera División, corrispondente occhio e croce alla nostra Serie D. Esperienza nulla, quindi: ma a questo genio del calcio l'esperienza non è servita affatto, a giudicare dai numeri e dai trofei, che non sto qui a elencare perché li conoscete tutti.
Quali colpe può aver avuto quindi, uno che ha avuti tanti e tanti meriti nel mondo del calcio? Una ce l'ha: ha dato il via al guardiolismo. Ovvero, l'idea che a guidare una squadra può esserci chiunque, anche uno che non ha mai vissuto uno spogliatoio dal lato più stretto di questo, quello del mister. Leader, ma sempre a un passo dalla porta: perché se le cose vanno male o non sai controllare i tuoi calciatori, a far le valigie sei tu, non loro. Ha fatto credere che fosse tutto semplice, quando in realtà non lo è affatto.
E gli effetti più devastanti si hanno proprio qui in Italia. A Milano, per la precisione: nel 2009, un mese dopo la Champions League vinta da Guardiola all'Olimpico di Roma, Ancelotti lascia la panchina del Milan. La lascia dopo otto stagioni condite da uno scudetto, una Coppa Italia e due Champions League. Bisogna sostituire questo grande vecchio del calcio: per farlo la coppia Berlusconi-Galliani, che controlla il Milan dal 1986, sceglie Leonardo Nascimento de Araújo. Ex grande nome del calcio, e soprattutto del calcio rossonero: ma che nel suo curriculum vitae alla voce "squadre precedentemente allenate" presenta un bello zero. Naturale, dato che a partire dal suo ritiro dal calcio giocato nel 2003 è sempre stato il direttore operazioni area tecnica del Milan, fungendo anche da emissario in Sudamerica per la squadra rossonera. Insomma, Leonardo da quando ha appeso gli scarpini al chiodo ha sempre indossato giacca e cravatta e lavorato dietro una scrivania. Anche molto bene per la verità, essendo riuscito a portare in rossonero Kakà, Pato e Thiago Silva; ma che non ha mai fatto, e nemmeno ha mai pensato di farlo, l'allenatore. L'andamento, come prevedibile è altalenante: dopo il terribile avvio culminato col 4-0 subito nel derby alla seconda giornata, il Milan vive una stagione di alti e bassi, alternando momenti in cui lotta per il titolo coi cugini ad altri momenti di stand-by tecnico e partite perse in malo modo, con prove talvolta da grandissima squadra e talvolta da squadra messa in campo senza una vera idea tattica da seguire. Alla fine sarà terzo posto, con qualificazione in Champions ottenuta, a -12 dai cugini e -10 dalla Roma classificatasi seconda; mentre in Europa il complessivo 2-7 maturato nei 180 minuti contro il Manchester United pone il termine all'esperienza europea del diavolo già agli ottavi di finale. Insomma, una stagione a metà strada fra il soddisfacente e il mediocre, anche se la rosa rossonera, che vedeva ancora mostri sacri come Nesta, Pirlo, Seedorf, Ronaldinho e Inzaghi fra gli altri, era ancora molto forte e competitiva e lasciava sperare in ben altro cammino.
Anno nuovo vita nuova, anche per Leonardo, che decide di chiudere la sua esperienza in panchina, e il duo affida il timone della barca rossonera a Massimiliano Allegri.
Neanche lui è Ancelotti eh, ma rispetto a Leonardo è uno che sa come si fa quel lavoro: un buon numero di panchine in C1 culminate con la prima storica promozione in B del Sassuolo, che gli vale la chiamata in Serie A da parte di Cellino, che lo vuole per il Cagliari. In Sardegna parte con 5 sconfitte nelle prime 5 gare in A, ma la fiducia di Cellino darà i suoi frutti, e i rossoblu ottengono due salvezze tranquille, con un nono posto al termine di un primo anno in cui i sardi erano andati vicini anche a un clamoroso piazzamento UEFA, Non solo, il Cagliari esprime anche un gioco solido, preciso, a tratti anche divertente, che mette in mostra agli occhi delle grandi calciatori come Astori, Marchetti e Matri.
Allegri entusiasma solo a sprazzi, è vero: ma riesce comunque a portare risultati ragguardevoli: scudetto (il primo non interista nel post-Calciopoli) durante la sua prima stagione in rossonero, secondo posto l'anno successivo, quando solo la prima straordinaria Juventus di Antonio Conte (un altro che prima della Juve il suo giro per la provincia fra Arezzo, Atalanta, Bari e Siena lo ha fatto) che in quell'anno non conobbe sconfitta impedì agli uomini di Allegri di bissare il titolo, terzo posto l'anno successivo, dopo un avvio da brividi al quale il tecnico e la squadra seppero rimediare con un girone di ritorno giocato a ritmo incessante. Infine, durante la scorsa stagione, l'esonero a campionato in corso dopo la sconfitta per 4-3 contro il Sassuolo, col Milan lontano dalla zona Europa.
I numeri in campionato ci dicono molto di Allegri al Milan, ma non tutto: infatti ci parlano di un avvio scoppiettante al quale però è seguito una discesa netta nelle prestazioni e nei risultati sportivi della squadra. Non dicono però di una rosa che, dal 2010 in cui arrivò Allegri al 2014 in cui venne sollevato dall'incarico, è stata progressivamente indebolita - indebolimento al quale non ha potuto far fronte una grande "invenzione" di Allegri, ovvero il Nocerino-goleador dell'anno del secondo posto - nella quale i vari Nesta, Thiago Silva, Gattuso, Seedorf. Inzaghi, Ibrahimovic sono stati sostituiti via via da calciatori non all'altezza dei loro predecessori (Mexes, Muntari, Emanuelson, Antonini, Constant...) o peggio ancora da figurine di grandi calciatori, vestigia di grandi campioni dei tempi che furono come Essien, o il cavallo di ritorno Kakà (per quanto faccia male inserirlo in questo elenco), comprati più per il nome in grado di muovere la campagna abbonamenti più che per il reale contributo sportivo che possono offrire.
Tornando al discorso allenatori, l'esonero di Allegri appare come una mossa tutto sommato giusta: il mister livornese sta in verità lavorando con la rosa più scarsa da quando è in rossonero, ma i risultati sono comunque deludenti e quindi la società, anche legittimamente, prova a dare una scossa alla squadra cambiando la guida tecnica. Ma la società avrà imparato che con un allenatore con un po' di esperienza si può far molto anche con un organico non di primissima scelta? Il nome del successore di Allegri è... Seedorf! Proprio così, lo stesso Seedorf che fu protagonista del secondo posto del 2012 e che ha annunciato lo svincolo dal Botafogo, e quindi la fine della sua carriera da calciatore il 14 gennaio 2014, giusto due giorni prima della sua presentazione come nuovo allenatore rossonero. I risultati li conosciamo tutti: 35 punti ottenuti in 19 partite (non tanti, ma nemmeno pochi ad essere onesti) e squadra che non va oltre l'ottavo posto finale, quindi fuori da ogni competizione europea.
La sua esperienza al Milan già finisce, e al suo posto viene chiamato, sempre seguendo lo sfrenato e scellerato guardiolismo, Inzaghi, nel cui curriculum vitae da allenatore ci sono giusto una stagione alla guida degli Allievi e un'altra alla guida della squadra Primavera. Inzaghi che, poveraccio, si ritrova ad avere in mano le rendini di una squadra costruita senza uno straccio di progetto tattico da portare avanti (qui, fa male dirlo per la stima che il sottoscritto nutre nei confronti di Superpippo, si è vista anche tutta l'inesperienza e la non preparazione del giovanissimo tecnico rossonero, ma non mi dilungo in questo discorso) e deficitaria in parecchi ruoli, con i soli Bonaventura e Menez come giocatori degni della gloriosa maglia rossonera, contorniati dai soliti calciatori senza infamia e senza lode e da altre figurine come Alex e Torres. Risultato? Lo stesso numero di punti raccolti da Seedorf, ma con 7 gare in più a disposizione, e squadra che naviga ben lontana dall'Europa, obbiettivo minimo sbandierato incautamente dalla società prima dell'inizio del campionato.
E la colpa di chi è? Di Guardiola! Sì, caro Pep, è colpa tua! Hai fatto credere a tutti che allenare fosse semplice, alla portata di tutti! Guardiola ha la colpa di esser stato un genio al quale qualcuno ha dato fiducia, e anche dei mezzi di altissimo livello, per poter tradurre in campo ciò che lo ha folgorato nella sua mente. Non un genio incompreso quindi, ma compreso male da chi prova a fare calcio ad alti livelli senza averne le risorse, che vede nell'esempio di Guardiola uno schema facilmente ripetibile: basta dare la panchina a un X allenatore sconosciuto, che però non ha idee geniali e rivoluzionarie da mettere in pratica come le ha avute lo spagnolo, senza però fornirgli dei campioni, o quantomeno una squadra all'altezza della situazione, coi quali poter avviare un progetto tattico e andarsela a giocare con chiunque per i propri obbiettivi, quali che siano. Parliamoci chiaro: Guardiola ha avuto negli anni i vari Messi, Villa, Xavi, Iniesta, Fabregas, Dani Alves e Piqué a Barcellona, e in Baviera adesso dispone di Robben, Ribery, Lewandowski, Gotze, Muller, Lahm e Alaba, non ha mai avuto (con rispetto parlando) i vari Honda, Muntari, Montolivo, Bonera e compagnia che si son ritrovati Inzaghi e Seedorf. Sono handicap, quelli degli uomini a disposizione, cui neanche un grande tecnico può sopperire fino in fondo: magari Guardiola con questo Milan farebbe molto di più di Inzaghi o Seedorf, ma non vincerebbe tutti i trofei che ogni anno conquista lo spagnolo con le sue squadre.
"Forse è stata colpa mia:La riflessione/sfida che His Airness lancia a un gruppo di aspiranti giocatori di basket scoraggiati alle prime difficoltà del loro cammino nello sport in un riuscitissimo spot Nike nasconde, nell'ultima frase che ho evidenziato col grassetto, la chiave di tutti fallimenti tecnici in cui è occorso il Milan in questi anni. Il Milan, come dimostra a ogni finestra di calciomercato tesserando calciatori con formule a dir poco fantasiose o a parametro zero, non ha le risorse economiche per fronteggiare apertamente altre realtà come Juventus, Roma, Napoli e Fiorentina, che invece riescono a imbastire ogni anno squadre competitive per giungere ai primi posti in classifica. Insomma, il Milan non ha più la forza di essere una grande del calcio italiano, come lo è sempre stata nella storia della Serie A e come pretendono giustamente i tifosi, il cui palato fino pretende in un certo senso di essere a giocarsi ogni anno lo scudetto, la Champions League e a vedere allo stadio con la maglia rossonera indosso dei campioni assoluti, come vuole la tradizione rossonera.
forse vi ho fatto credere che fosse facile, mentre non lo era.
Forse vi ho fatto credere che le azioni migliori cominciassero sulla linea del tiro libero,
e non in palestra.
Forse vi ho fatto credere che ogni tiro che mi sono preso fosse vincente,
che il mio gioco fosse costruito sulla velocità, non sulla fatica.
Forse è stato un mio errore che non vi siate accorti che ogni mio fallimento mi ha dato forza,
e che il mio dolore è stata la mia motivazione.
Forse vi ho lasciato credere che il basket è stato un dono di Dio,
e non qualcosa per la quale ho lavorato ogni singolo giorno della mia vita.
Forse ho distrutto il gioco:
o forse stai solo cercando delle scuse."
Peccato che la società rossonera non abbia l'onestà intellettuale di ammettere in maniera palese ciò che è sotto gli occhi di tutti, e continui a far proclami trionfali, salvo poi fallire miseramente sul campo e "nascondersi" dietro la figura dell'allenatore, da sempre il più esposto alle critiche quando le cose vanno male nel calcio, che più che da guida tecnica alla squadra funge da parafulmine alle colpe societarie che ciclicamente si ripropongono. Fateci caso, da Leonardo a Seedorf a Inzaghi è cambiato solo il nome del povero disgraziato da esporre alla gogna mediatica, ma la situazione è sempre la stessa.
Per cui, secondo la mia modesta opinione, i mali del Milan si risolvono non con un nuovo tecnico, che pure occorrerebbe, visto che ora come ora Inzaghi non ha più quella serenità che occorre per guidare una squadra di calcio, specie se quella squadra si chiama A.C. Milan, ma occorre una nuova proprietà che inietti soldi freschi, coi quali si possa rinforzare adeguatamente la rosa e riportare il Milan al posto che merita. Anche perché sappiamo fin troppo bene cosa è in grado di combinare quella vecchia volpe di Galliani se avesse un budget cospicuo a disposizione...
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://www.milanotoday.it/~media/PP_big/38689793531643/milan-deluso-2.jpg
http://www.blitzquotidiano.it/wp/wp/wp-content/uploads/2009/11/fiorentina.Luca.Toni.TopScorer.jpg
http://i.dailymail.co.uk/i/pix/2012/05/17/article-2145691-04F710130000044D-934_306x494.jpg
http://contropiede.ilgiornale.it/wp-content/uploads/2012/11/guardiola.jpg
http://images2.corriereobjects.it/gallery/Sport/2012/04_Aprile/guardiola/01/img_01/2009-champions-ap_672-458_resize.jpg?v=20120427123224
http://www.corriere.it/Hermes%20Foto/2009/06/02/0KKK5ZFP.jpg
http://www.repubblica.it/images/2013/02/19/155043030-d29ef1b2-baa8-4c3e-89c1-12106982c4eb.jpg
http://www.theoldnow.it/wp-content/uploads/2014/05/seedorf-copertina.jpg
http://cdn1.stbm.it/sportlive/gallery/foto/serie-a-calcio/empoli-milan-foto-gallery-serie-a-23-settembre-2014/empoli-milan-antinipo-23-settembre-2014-2.jpeg?-3600
http://www.rossonerosemper.com/wp-content/uploads/2013/01/berlusca-galliani.jpg
Commenti
Posta un commento