Il bello del calcio: 240 secondi di furia granata
Ancora euforici per i risultati delle nostre cinque squadre italiane qualificate (ma con moderazione: sono pur sempre i sedicesimi di finale, manca ancora una vita a Varsavia!) rieccoci qui con le storie, per me ormai immancabili, de "Il bello del calcio".
Partire dalla serata di giovedì sera però è in un certo senso doveroso: in un certo senso è da lì che nasce la storia di oggi nella mia testa. In particolare da una partita precisa, quella del San Mamés: non ce ne abbiano tutte le altre, alle quali pure va un plauso per il loro rilevante risultato sportivo, ma Athletic Bilbao-Torino è stata di certo la partita più emozionante fra quelle delle nostre squadre, con un botta e risposta da parte dei granata degno di una grandissima squadra, che solo un cuore e un carattere enorme potevano supportare.
Ma la squadra granata non è nuova a exploit del genere: il Torino e i suoi giocatori sono infatti entrati più volte nella memoria calcistica nazionale per la loro grinta e determinazione, che li spinge a lottare fino all'ultima goccia di sudore finché la partita non ha effettivamente termine, sostenuta sempre dal tifo caldissimo della curva granata. Un tifo che è sempre nutrito e forte, nonostante a legare la gente alla maglia granata non ci sia che il più puro senso di appartenenza. Di trofei infatti dalla parte granata del capoluogo piemontese non se ne vedono più da tempo. Questi per la verità viaggiano spesso in direzione Torino, ma di solito guardano "agli altri", alla Juventus. I bianconeri, infatti, hanno un palmares decisamente più ricco rispetto a quello striminzito dei cugini granata. Che poi definire striminziti sette scudetti e cinque coppe Italia è piuttosto inesatto, ed è una definizione valida solo se devi confrontarti quotidianamente con quelli lì.
È naturale quindi, per il Toro e i suoi tifosi, sentire in maniera particolare la partita contro i bianconeri, chiamata anche derby della Mole: che non è solo una partita di calcio, è un'occasione di rivalsa. Perché in quei novanta minuti tutti i trofei si azzerano, e ci sono solo le due squadre di Torino che si sfidano per la "supremazia della città". Una sfida sportiva, ma anche ambientale fra le due tifoserie, che rappresentano (soprattutto in passato, ora questa divisione va pian piano perdendosi) in un certo senso lo spaccato della città; la borghesia torinese doc, legata alla città di Torino, è granata; mentre i tanti dipendenti FIAT, spesso immigrati dall'estremo mezzogiorno italiano, tengono per la squadra bianconera, la cui proprietà è storicamente della famiglia Agnelli, che controlla anche la maggiore industri automobilistica italiana. Una sfida, come ogni derby che si rispetti, imprevedibile, che la squadra che parte contro i favori del pronostico spesso riesce a far propria. I derby torinesi sono stati così per anni: molte volte abbiamo assistito a impronosticabili vittorie granata ai danni dei favoriti bianconeri, in particolare negli anni Settanta, quando il Toro aveva fra le sue fila un vero animale da derby, che rispondeva al nome di Paolo Pulici.
Solo che la nostra storia balza direttamente al 1983, e nel mese di marzo di trentadue anni fa arrivò, come ogni anno, il derby. Le cose erano molto cambiate: Pulici dopo 172 boati regalati alla Maratona ha salutato tutti per approdare in bianconero - quello dell'Udinese, ovviamente - e né il suo "gemello del gol" Graziani - che adesso veste la maglia viola della Fiorentina - né nessun altro di coloro che portarono per l'ultima volta il tricolore al Toro era rimasto, eccetto l'immortale capitano Zaccarelli.
Nemmeno gli artefici dietro alle quinte del miracolo Toro, il presidente Pianelli e il tecnico Radice, c'erano più: nel 1983 il Toro è in mano a Sergio Rossi, che affida la direzione tecnica della squadra a Eugenio Bersellini. Il quale fa il massimo - un dignitoso ottavo posto e una semifinale di Coppa Italia - con il materiale umano a sua disposizione.
Che non è scarso, avendo a disposizione fra gli altri anche il già citato Zaccarelli e il campione del mondo (anche se Bearzot non gli fece mai mettere piede in campo) Giuseppe Dossena. Poca roba però, rispetto all'anno dei miracoli 1976. Ancor meno se paragonata a ciò che c'è dall'altra parte di Torino. Trapattoni infatti di campioni del mondo a disposizione ne ha sei, tutti titolarissimi e fondamentali per alzare la coppa a Madrid, a cui si aggiungono Roberto Bettega, cui solo un brutto infortunio al ginocchio gli impedì di essere il settimo campione del mondo bianconero; e i due stranieri di lusso Zbigniew Boniek e Michel Platini.
Non c'è storia quindi, il Torino è nettamente sfavorito, tanto che la Juventus vede nel derby un'ottima occasione per avvicinare la Roma, diretta concorrente dei bianconeri per il titolo, impegnata nella difficile trasferta fiorentina. Non solo: Boniek e compagni sono tranquillissimi in vista del match, e anzi temono molto di più la sfida successiva contro i polacchi del Widzew Lodz, valevole come semifinale della Coppa dei Campioni. Mai dare per spacciato il Torino però: per sfavorito e nettamente inferiore sì, ma non spacciato. I tifosi e i calciatori del Toro tengono troppo a quella partita, lo capiamo dalle dichiarazioni fiere del capitano Zaccarelli: "Dobbiamo vincere per raggiungere un posto in Uefa, e per far perdere lo scudetto alla Juve".
Il cuore, la grinta e la voglia di lottare non mancheranno dunque. Il problema è che a volte, quando schieri Terraneo; Van de Korput, Beruatto; Zaccarelli, Danova, Galbiati; Torrisi, Dossena, Selvaggi, Hernandez, Borghi; mentre i tuoi avversari invece rispondono con Zoff; Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea; Bettega, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek; quelle volte cuore, grinta e determinazione possono non bastare.
Era ciò che aspettavano i tifosi e i calciatori bianconeri, che cominciarono a spingere sempre più decisi contro il fortino granata. Il pressing asfissiante manda in tilt i difensori, e Van de Korput esegue uno sciagurato retropassaggio che è praticamente un assist per il Pallone d'oro Pablito Rossi: al 15' la Juve conduce per 1-0, e vede ridotto a un punto il gap dalla Roma. I campioni adesso sono sicuri, vogliono scherzare con quel Toro, vogliono prenderlo per le corna, mostrargli il fazzoletto rosso per affaticarlo prima di matarlo definitivamente. E al 65' pare che ci riescano: Zaccarelli stende Boniek in area, e Lo Bello concede il calcio di rigore. L'esecuzione di quel rigore è quasi poetica: Platini dal dischetto sembra quasi un giustiziere di fronte al condannato a morte, per il quale non prova alcun sentimento, né di simpatia né di odio. Platini è lì per fare ciò che gli "ordina" il direttore di gara, e per far vincere ai suoi la partita. Terraneo invece è il giustiziato che non ci sta a perire, che si ribella fino all'ultimo, e infatti respinge il rigore a "le roi". Che però è un boia infallibile, e sulla ribattuta realizza il 2-0 che chiuderebbe i giochi. Il condizionale è d'obbligo, perché di fronte non c'è un avversario normale: c'è il Toro. Un avversario mai domo, che non getta la spugna, che non abbandona mai la lotta. Il tempo di riorganizzarsi, osservare meglio l'avversario e colpirlo nei suoi punti deboli, nel momento opportuno. Quella volta i giocatori in granata si guardarono, e si dissero che no, non ci stavano a farsi battere così, senza nemmeno aver lottato. In quei momenti prendono vita i minuti più pazzi della storia del derby della Mole.

Intanto Terraneo ha anticipato Rossi e ha fatto ripartire l'azione: Beruatto per Dossena, che scambia palla con Zaccarelli e supera il centrocampo, poi scarica sulla sinistra dove c'è Beruatto, che scodella quel pallone in mezzo: una nuova sfida aerea quindi, questa volta fra Bonesso, centravanti granata subentrato a Borghi, e Brio, stopper bianconero, che viene anticipato in maniera secca dal rivale: 2-2, e siamo al 72'. Non è finita: minuto numero 74, il Torino è ancora in attacco, e Zaccarelli riceve palla sulla trequarti, la serve sulla fascia per Van de Korput, che serve il suo secondo assist di giornata: il primo, sciagurato, a Rossi, il secondo, benedetto, a Torrisi, un eccentrico che alla curva Maratona ricorda il grande Meroni, e perciò lo ama, e che in più da ragazzo tifava per la Roma. Torrisi quindi è l'uomo giusto per completare il sorpasso: lui, più degli altri, non può sbagliare il colpo di grazia: gol, 3-2 Toro. Il tutto dal 71' al 74', in quattro minuti, 240 secondi di furia granata che travolsero quei bianconeri che sembravano imbattibili, ma che invece non ebbero le forze di provare a raddrizzare il risultato: e come avrebbero potuto? Il Comunale di Torino era diventato una bolgia dantesca tutta colorata di granata, e gli avversari erano ancora attraversati da un furore agonistico senza precedenti. No, no c'era spazio per la Juventus: quei 240 secondi avevano reso tutto il pomeriggio di proprietà esclusiva del Torino.
SITOGRAFIA IMMAGINI E VIDEO:
http://a.espncdn.com/combiner/i/?img=/media/motion/ESPNi/2015/0226/int_150226_Highlights_Athletic_Bilbao_2-3_Torino/int_150226_Highlights_Athletic_Bilbao_2-3_Torino.jpg&w=738&site=espnfc
http://www.golcalcio.it/zaccarelli_1a.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/f/fd/Giuseppe_Dossena.jpg
http://www.tuttosamo.it/fotografo/quadroso2.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/3/3a/Juventus_Football_Club_1982-1983.jpg
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Rossi_Terraneo_Torino_Juventus_1983.jpg
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Bonesso_Torino_1983.jpg
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Torrisi_Torino_1982-83.jpg
https://www.youtube.com/watch?v=Qcyj7vqduLw
Ma la squadra granata non è nuova a exploit del genere: il Torino e i suoi giocatori sono infatti entrati più volte nella memoria calcistica nazionale per la loro grinta e determinazione, che li spinge a lottare fino all'ultima goccia di sudore finché la partita non ha effettivamente termine, sostenuta sempre dal tifo caldissimo della curva granata. Un tifo che è sempre nutrito e forte, nonostante a legare la gente alla maglia granata non ci sia che il più puro senso di appartenenza. Di trofei infatti dalla parte granata del capoluogo piemontese non se ne vedono più da tempo. Questi per la verità viaggiano spesso in direzione Torino, ma di solito guardano "agli altri", alla Juventus. I bianconeri, infatti, hanno un palmares decisamente più ricco rispetto a quello striminzito dei cugini granata. Che poi definire striminziti sette scudetti e cinque coppe Italia è piuttosto inesatto, ed è una definizione valida solo se devi confrontarti quotidianamente con quelli lì.
È naturale quindi, per il Toro e i suoi tifosi, sentire in maniera particolare la partita contro i bianconeri, chiamata anche derby della Mole: che non è solo una partita di calcio, è un'occasione di rivalsa. Perché in quei novanta minuti tutti i trofei si azzerano, e ci sono solo le due squadre di Torino che si sfidano per la "supremazia della città". Una sfida sportiva, ma anche ambientale fra le due tifoserie, che rappresentano (soprattutto in passato, ora questa divisione va pian piano perdendosi) in un certo senso lo spaccato della città; la borghesia torinese doc, legata alla città di Torino, è granata; mentre i tanti dipendenti FIAT, spesso immigrati dall'estremo mezzogiorno italiano, tengono per la squadra bianconera, la cui proprietà è storicamente della famiglia Agnelli, che controlla anche la maggiore industri automobilistica italiana. Una sfida, come ogni derby che si rispetti, imprevedibile, che la squadra che parte contro i favori del pronostico spesso riesce a far propria. I derby torinesi sono stati così per anni: molte volte abbiamo assistito a impronosticabili vittorie granata ai danni dei favoriti bianconeri, in particolare negli anni Settanta, quando il Toro aveva fra le sue fila un vero animale da derby, che rispondeva al nome di Paolo Pulici.

Nemmeno gli artefici dietro alle quinte del miracolo Toro, il presidente Pianelli e il tecnico Radice, c'erano più: nel 1983 il Toro è in mano a Sergio Rossi, che affida la direzione tecnica della squadra a Eugenio Bersellini. Il quale fa il massimo - un dignitoso ottavo posto e una semifinale di Coppa Italia - con il materiale umano a sua disposizione.
Che non è scarso, avendo a disposizione fra gli altri anche il già citato Zaccarelli e il campione del mondo (anche se Bearzot non gli fece mai mettere piede in campo) Giuseppe Dossena. Poca roba però, rispetto all'anno dei miracoli 1976. Ancor meno se paragonata a ciò che c'è dall'altra parte di Torino. Trapattoni infatti di campioni del mondo a disposizione ne ha sei, tutti titolarissimi e fondamentali per alzare la coppa a Madrid, a cui si aggiungono Roberto Bettega, cui solo un brutto infortunio al ginocchio gli impedì di essere il settimo campione del mondo bianconero; e i due stranieri di lusso Zbigniew Boniek e Michel Platini.
Non c'è storia quindi, il Torino è nettamente sfavorito, tanto che la Juventus vede nel derby un'ottima occasione per avvicinare la Roma, diretta concorrente dei bianconeri per il titolo, impegnata nella difficile trasferta fiorentina. Non solo: Boniek e compagni sono tranquillissimi in vista del match, e anzi temono molto di più la sfida successiva contro i polacchi del Widzew Lodz, valevole come semifinale della Coppa dei Campioni. Mai dare per spacciato il Torino però: per sfavorito e nettamente inferiore sì, ma non spacciato. I tifosi e i calciatori del Toro tengono troppo a quella partita, lo capiamo dalle dichiarazioni fiere del capitano Zaccarelli: "Dobbiamo vincere per raggiungere un posto in Uefa, e per far perdere lo scudetto alla Juve".
Il cuore, la grinta e la voglia di lottare non mancheranno dunque. Il problema è che a volte, quando schieri Terraneo; Van de Korput, Beruatto; Zaccarelli, Danova, Galbiati; Torrisi, Dossena, Selvaggi, Hernandez, Borghi; mentre i tuoi avversari invece rispondono con Zoff; Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea; Bettega, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek; quelle volte cuore, grinta e determinazione possono non bastare.
Se poi a questo si aggiunge che si è alla 25ª di 30 giornate di campionato, e che quindi i tifosi oltre a sciarpe, bandiere e Borghetti, hanno in mano anche una radiolina sintonizzata su Tutto il calcio minuto per minuto, allora le cose possono complicarsi ulteriormente. E lo fanno, d'altronde stiamo parlando del Toro, la cui strada è sempre stata in salita: dopo soli nove minuti di gioco infatti il Comunale è scosso da un boato, causato dall'annuncio del gol di Massaro: Fiorentina-Roma 1-0.

La leggenda narra che, quando il Grande Torino era in svantaggio, il suo capitano e leader Valentino Mazzola fosse solito rimboccarsi le maniche. Era il segnale concordato con la squadra che lui non ne aveva più, che bisognava darsi una scossa e vincere la partita. Era, insomma, lo squillo di tromba che annunciava il celebre quarto d'ora granata, lasso di tempo nel quale quegli straordinari campioni avrebbero segnato due, tre, una volta persino sette gol agli avversari, e ribaltato il punteggio. Anche al Toro del 1983 servirebbe una scossa del genere. E arriva al minuto numero 71: a darla è ovviamente l'erede, in quel Torino, di Mazzola, ovvero il campione del mondo Dossena, che impatta di testa un pallone messo in mezzo da Galbiati e la scaraventa lì dove Zoff, la leggenda bianconera, le cui manone francobollarono la Coppa del Mondo meno di un anno prima, non può arrivare: 2-1.
Battere Zoff per i giocatori del Toro è come scoprire che anche il divo Achille sanguina, se lo colpisci quando è troppo sicuro di sé e non sta attento al tallone. I granata sono in un certo senso baciati dagli dèi del calcio, che adesso li sospingono sulle ali dell'entusiasmo.


Pomeriggio che lasciò il segno per tutta la stagione: la Roma, che a Firenze pareggiò 2-2, addirittura allungò sui bianconeri, mettendo una seria ipoteca sul secondo titolo della storia giallorossa, consegnando Conti, Pruzzo, Falcao e tutti gli altri all'altare delle leggende romaniste. Ma soprattutto rievocò nei calciatori della Juventus una gran paura di fallimento, fino a quel pomeriggio celata alla perfezione dietro la meritata nomea di campioni che si erano costruiti. Paura che si manifestò ancora una volta quell'anno, in una notte di maggio greca, e immobilizzò definitivamente i campioni bianconeri, incapaci di reagire alla rete di un carneade di nome Felix Magath.
Facile credere, adesso, a un invecchiato Bonesso, che racconta: "A una riunione di allenatori a Forlì ritrovai Trapattoni. Non ho più capelli, non mi avrebbe riconosciuto. Mi sono presentato. Mi ha detto: "Tu mi hai sempre rotto i coglioni...". Avevo segnato anche nel derby dell'anno prima, E anche nelle giovanili facevo sempre gol alla Juve".
Esagerazioni? Forse. Ma solo per chi non conosce il Toro e la sua storia. Perché il Toro ci è abituato a storie del genere. Esagerate, assurde, incredibili. Per cuori grandi e forti. E il vecchio cuore granata lo è più degli altri.
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