1999: quando Venezia divenne Chinofila

Venezia: una delle città italiane più belle, conosciute e visitate al mondo; fiore all'occhiello del nostro Paese, che al pari di altre realtà  nostrane come Roma, Napoli e Firenze accoglie ogni anno migliaia di turisti.
Venezia che non è mai sola: c'è sempre infatti un aggettivo vicino. Il più usato è romantica, e basta che chiediate in giro quante coppie sposate hanno scelto la città lagunare come tappa nel loro viaggio di nozze per averne conferma, senza che io vi sprechi altre parole. O, se ci siete stati, basta che ritorniate con la mente a quel giro in gondola, e capirete di cosa sto parlando. Il più noto invece è Serenissima, quello con il quale la città, e in particolare la Repubblica che essa rappresentava, sono passati alla storia. Un altro che a volte sento utilizzare è l'aggettivo malinconica, pur se questa malinconia che in un certo senso trasmettono i canali e i ponti della città contribuiscono ad accrescerne il romanticismo innato.
Io però ne ho utilizzato un altro, che ho coniato proprio per questo articolo: chinofila. Chinofila che però si deve leggere non "all'italiana", quindi col suono duro kinofila, ma far finta che la "h" non ci sia, e leggere cinofila. Letta così, senza conoscerne la grafia, potrebbe indurre un eventuale errore, per cui precisiamo: l'etimologia è quella greca per la seconda parte della parola, amore, ma non lo è per la prima, da κύων, e quindi il simpatico quadrupede, universalmente noto come il migliore amico dell'uomo, non c'entra niente in questa storia. L'etimologia è molto diversa infatti, ed è legata a un altra cose che rientra nella cerchia dei migliori amici dell'uomo: il calcio.

Calcio e Venezia dunque sono le parole chiave di questo mio nuovo post. Abbinamento abbastanza strano, direte, non sapendo che questo è un altro concetto che ricorrerà in questa storia.
Ma andiamo con ordine: come sanno tutti, il calcio è lo sport nazionale dell'Italia, e ogni città o anche quartiere ha una sua rappresentativa calcistica. In particolare, le grandi città italiane hanno tutte una, se non due, grandi squadre che militano la Serie A, il massimo campionato calcistico nazionale: la Juventus e il Torino rappresentano il capoluogo piemontese, Inter e Milan hanno sede nella città meneghina, la capitale è rappresentata dai giallorossi della Roma e dalla biancoceleste Lazio; due squadre lottano in Serie A anche sotto la lanterna, il Genoa e la Sampdoria, mentre Napoli e Firenze affidano la loro gloria calcistica agli azzurri della SSC Napoli e ai viola della Fiorentina.
E Venezia?
Niente. Venezia non ha una squadra militante in Serie A. E nemmeno in Serie B, dove a farle compagnia ci sarebbe la blasonata Bologna. Bisogna scendere addirittura in Lega Pro, il terzo livello del calcio italiano, per trovare finalmente il Football Club Unione Venezia, dove conduce un campionato senza infamia e senza lode, che lo vede matematicamente salvo con 45 punti ottenuti in 36 partite disputate sulle 38 totali (proprio oggi, 1 maggio alle ore 15:00, è in programma la partita contro la Pro Patria, valida per la 37ª giornata di campionato: in bocca al lupo!).
Un po' pochino quindi: mentre nelle vicine Verona ci sono addirittura due squadre in A (l'Hellas e il Chievo), e Vicenza e addirittura Cittadella (comune di 20000 abitanti in provincia di Padova) hanno la loro rappresentanza in B, nel capoluogo regionale bisogna accontentarsi di un campionato tranquillo in Lega Pro, riuscendo ad evitare la discesa fra i dilettanti, dove in effetti si trovava la squadra solo tre stagioni fa.
Un po' poco, non trovate? In effetti il sacro fuoco del calcio, per un motivo o per un altro, non ha mai scottato la Serenissima: poche infatti le comparsate in Serie A della squadra lagunare, che però ha saputo anche togliersi delle soddisfazioni: sono delle foto certamente ingiallite dal tempo, ma possono testimoniarci che, nei primi anni Quaranta, qui si giocava in Serie A.
E da protagonisti: solo la Roma e il Torino chiusero il campionato davanti ai nero-verdi nel 1942, che possono dunque fregiarsi di un onorevolissimo terzo posto in Serie A; ma non solo: da qualche parte, nella bacheca della società, troverete una Coppa Italia, conquistata ai danni della solita Roma, grazie al 3-3 dell'andata nella capitale (decisivo, per far partire la riscossa lagunare, uno splendido gol di Mazzola) e alla vittoria per 1-0 al Penzo, col gol decisivo di Loik.
Sì proprio loro: Ezio Loik e Valentino Mazzola, i più grandi calciatori italiani di quel decennio. Fu proprio la loro cessione al Torino nel 1942, che essi contribuirono a far entrare nella leggenda, che causò la fine dell'epopea veneziana.
Dopodiché il nulla: solo altre 4 stagioni in Serie A, qualche apparizione in B e tanta, tantissima Serie C. Il fuoco del calcio sembrava essersi definitivamente spento. Eppure non era così: il fuoco della passione per il calcio c'era ancora, ma era latente, poco alimentato, e in una città che vive sul mare e quindi particolarmente umida questo non contribuisce a farlo avvampare.
Ci voleva qualcuno che gettasse la benzina sul fuoco, per far sì che la passione possa tornare travolgente e, quindi, sospingere la squadra a grandi livelli. E questo qualcuno arrivò: è un uomo proveniente dal Friuli, quindi in un certo senso vicino alla laguna, nato proprio negli anni in cui il Venezia era grande, e da allora ha investito nel ramo immobiliare, accumulando un gruzzoletto interessante. L'uomo da cui parte la riscossa della Venezia calcistica si chiama Maurizio Zamparini, che rileva da Mazzuccato il Venezia calcio, che era sull'orlo del fallimento non essendo in grado nemmeno di iscriversi al campionato di Serie C2. Ma non solo: Zamparini acquisisce anche il Mestre, altra squadra cittadina militante in Serie C2, e le fonde, creando così un unico club, che partì così verso la scalata al grande calcio.
Il club, non più nero verde ma, avendo incorporato il Mestre e il suo colore sociale, l'arancione, arancioneroverde (ricordate quando prima parlavo di abbinamenti strani? Ecco, questa scelta cromatica la trovo discutibile, ma come dicevano i latini de gustibus non disputandum est) cominciò quindi la sua scalata, e anno dopo anno, allenatore dopo allenatore (Zamparini si sa è come il lupo, perde il pelo ma non il vizio!) riuscì pian piano a costruirsi una squadra forte, che nel 1998 raggiunse finalmente la Serie A, 30 anni dopo la sua ultima visita.
Stefan Schwoch e Walter Novellino
Ora però viene il bello: la tifoseria è ridestata, e ora che è tornata in Serie A ha voglia di restarci: per farlo Zamparini lascia alla guida della squadra l'artefice della promozione, Walter Novellino, e affidò al dg Marotta (sì, quello che adesso è alla Juventus) il compito di costruire una squadra all'altezza della situazione. Il risultato è così così: il 4-4-2 di Novellino, il cui undici base prevede Taibi fra i pali; Carnasciali Luppi Pavan Dal Canto in difesa; De Franceschi Iachini Volpi Pedone a centrocampo e in attacco la coppia d'attacco, i veri idoli della curva lagunare, Stefan Schwoch da Bolzano e Superpippo Maniero, va solo a tratti: se ci sono delle indubbie soddisfazioni, come l'ancorare sullo 0-0 il Parma che a fine anno avrebbe conquistato Coppa Italia Coppa Uefa, o come il 2-0 a firma Tuta (attaccante brasiliano di riserva di quella squadra) e Pedone col quale i lagunari fermano una fortissima e ricchissima Lazio che fino all'ultimo contenderà lo scudetto al Milan di Zaccheroni (uno dei tanti assunti e poi esonerati da Zamparini a Venezia, tra l'altro); la classifica, oggettivamente, parla chiaro: a fine 1998 il Venezia ha raccolto solo 11 punti in 14 giornate di campionato, un trend che, se non migliorato alla svelta, condannerebbe la squadra alla retrocessione.
Solitamente, in aiuto a queste realtà, interviene il mercato di gennaio, detto anche di riparazione. Per un mese le squadre possono ingaggiare nuovi calciatori, acquisirli da altre società fino alla fine del campionato: è, per molte squadre, il momento della verità, quello da non sbagliare, l'ultima chance per salvare una stagione altrimenti destinata al fallimento.
E Marotta si dà da fare: insieme ad altri movimenti tutto sommato minori (fra questi l'acquisto del terzino sinistro Alessandro Pistone, che pochi anni prima all'Inter venne preferito a Roberto Carlos dall'allenatore Roy Hodgson...) spicca un cambio netto in attacco: va via l'idolo del Penzo, capocannoniere del precedente campionato di B Schwoch, che scende nuovamente in seconda serie, al Napoli. Per sostituirlo Marotta bussa alla porta di Moratti, presidente dell'Inter, che al contrario del Venezia ha problemi di abbondanza: ci sono troppe seconde punte, troppi numeri 10 che sono ormai ingestibili per l'allenatore nerazzurro, che adesso è il rumeno Mircea Lucescu, e quindi cede ben volentieri ai veneziani la giovane ultima ruota del carro offensivo nerazzurro. Infatti, dopo Baggio, Djorkaeff e un giovanissimo Andrea Pirlo, che Mazzone e Ancelotti non avevano ancora trasformato nel miglior regista di centrocampo italiano; c'è un ragazzino uruguaiano, ma che a vederlo sembrerebbe un discendente dei Ming. Un Chino appunto, come chiamano dalle sue parti gli abitanti dell'ex celeste impero: il nostro però all'anagrafe della capitale uruguaiana, Montevideo, è registrato come Alvaro Recoba.
Recoba... ci si potrebbe mettere seduti e star lì a parlare per ore di Recoba, e nonostante questo, nessuno riesce mai a mettersi d'accordo. Perché Recoba è esagerato, e non conosce mezze misure: o lo si ama o lo si odia. Recoba è uno di quelli che mette oltre la linea, fuori dal campo, la normalità, la costanza, la continuità, e ci fa ben entrare la genialità, l'arte applicata al pallone. E a proposito di arte: se Del Piero è Pinturicchio, Recoba è sicuramente Caravaggio: una carriera forse più breve, ma fatta di lampi di classe assoluti, accompagnati dall'oscurità di molte sue partite, nelle quali Harry Potter si scordava la bacchetta magica, e non succedeva niente, anzi Recoba era né più né meno di un uomo regalato agli avversari. Recoba non è un bomber: non è Inzaghi, non sa segnare caterve di gol in ogni occasione: non sa segnare con un tocco sporco, una deviazione di pancia, di coscia, perché no di natica: infatti Recoba di gol ne ha fatti pochi. ma memorabili; traiettorie che risvegliano quello che Nietzsche chiamerebbe spirito dionisiaco, pallonetti da distanza siderale che beffano un ignaro e impotente portiere che ci ricordano la bellezza assoluta del calcio, che saziano il suo (e nostro, in quanto tifosi del bel calcio) spirito di prevalicazione sull'avversario. Perché, se è la sua giornata, Recoba non sconfigge gli avversari: li domina, li stermina, li spazza via, li umilia. Ancora adesso Recoba non smette di far vedere chi è, nonostante i 39 anni che la tessera d'identità continuamente gli ricorda: e anche adesso segna poco. Ma quando lo fa, sono ancora gol straordinari, incredibili, olimpici.
Ma, per quello che concerne la nostra storia, se Zamparini è stato colui che ha messo la benzina sul fuoco, Recoba è stato quella donna bellissima che si insinua nei pensieri, che conturba la mente e il cuore del tifoso veneziano, non abituato a giocate del genere, e a renderlo, letteralmente, un Chinofilo: perché adesso la tifoseria è ai suoi piedi. E quando scocca una scintilla del genere, per un giocatore come Recoba non esistono più limiti, né freni.
Per la squadra di Novellino, Recoba è l'uomo della provvidenza: dal suo esordio, datato 17 gennaio 1999 (1-1 contro la Juventus al Penzo) in poi il Venezia gira decisamente meglio, ispirato come non mai da questo giovane uruguaiano che con quel sinistro fa quel che gli pare col pallone, ed esalta anche il suo compagno di reparto, Maniero. Insieme, i due formeranno un tandem d'attacco di incredibile efficacia: vengono messe in fila nell'ordine Empoli Bari, poi il Parma al Tardini riesce a pareggiare solo all'ultimo la doppietta di Maniero, infine la Roma ne prende 3 al Penzo, e fra queste reti c'è la prima in maglia arancioneroverde del Chino. Che da lì in poi non si ferma più: dribbling, serpentine, assist illuminati, punizioni da cineteca e anche rigori decisivi, come quello con il quale il Venezia batte il Perugia, portandosi a +6 dalla zona calda. Ma il meglio deve ancora venire, e viene finalmente il 14 marzo 1999, quando in laguna approda la fortissima Fiorentina di Gabriel Batistuta, Rui Costa e Toldo. Nessuno di loro però sarà protagonista, nemmeno il fortissimo Batigol: la scena se la prende tutta lui, il nuovo doge di Venezia, che illumina il pomeriggio del Penzo con tre lampi abbaglianti provenienti dal suo sinistro. Alla fine è 4-1 Venezia, e per Recoba è tripletta, la prima in Serie A. Una vittoria che vuol dire molto: perché se da un lato frena bruscamente le speranze tricolori della Fiorentina, da un lato lancia il Venezia verso una salvezza tanto tranquilla quanto insperata a inizio campionato, quando tutti i sapientoni del calcio davano per spacciata la squadra di Zamparini-Marotta-Novellino.
Una salvezza che, probabilmente, mai sarebbe arrivata senza gli 11 gol in 19 partite di Alvaro Recoba. Un talento puro, cristallino, che adesso è solo questo, non ancora il più grande rimpianto del calcio italiano, che è riuscito a bruciare così tanto materiale tecnico e calcistico, non ancora il chiodo fisso di Moratti, innamorato come tutti i tifosi di questo campione, che lo tiene sempre in squadra negli anni a venire, nonostante tutti i tecnici, da Lippi a Cuper a Mancini, lo tengano il più delle volte in panchina, sacrificando la magia all'altare dell'equilibrio e delle vittorie che per anni continueranno a latitare. Adesso Alvaro Recoba, el Chino, non è ancora tutto questo: è solo un sudamericano che però ha i tratti orientali, quasi fosse arrivato in città non tramite Marotta e il calciomercato, ma quasi come se ad avercelo portato fosse stato Marco Polo direttamente dalla corte di Kublai Khan, quale esempio che tutte le meraviglie narrate ne "Il Milione" non sono tutte fandonie inventate da un fantasioso viaggiatore, ma esistono davvero; e che in sole 19 partite è diventato il doge di Venezia, l'idolo assoluto e incontrastato della tifoseria, il più amato da un'intera città calcistica. Quella Venezia che col calcio ha avuto poco a che fare, e ne avrà ancor meno a partire dall'anno dopo, quando saluteranno sia Recoba che Novellino, e la squadra retrocederà in B. Quella città che è sì romantica, serenissima, malinconica, ma per qualche mese è stata indiscutibilmente Chinofila.

IMMAGINI E VIDEO:
http://www.tuttoinlibera.it/images/cartoline/cartoline_venezia4.jpg
http://www.veneziaunited.com/allnews/wp-content/uploads/2013/09/logo_FBCUV_ufficiale.png
http://www.magliarossonera.it/img194041/uff25_1941.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/7/7c/Loik_e_mazzola_nazionale_1942.jpg
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Novellino_Schwoch.jpg
http://www.storiedicalcio.altervista.org/images/Recoba_Venezia_1998-99_b.jpg
https://www.youtube.com/watch?v=LMiH2rfwvZs
http://www.stpauls.it/gio03/0302gi/images/0302g24a.jpg
http://web.tiscalinet.it/Recoba/foto/19981999/venperc.jpg
https://www.youtube.com/watch?v=erWy4aA3x1E

Commenti

Post più popolari